Aboliamo la ricorrenza del 27 gennaio, giorno della Memoria dello sterminio degli ebrei.
Il 27 gennaio è sempre più la fiera dell’ipocrisia e dell’antisemitismo. In effetti è sempre stata la fiera dell’ipocrisia e dell’antisemitismo, l’affetto infinito degli ebrei morti e l’odio isterico contro quelli vivi. Quelli in coda davanti le camere a gas, quelli sì che erano ebrei per bene, mica come questi insopportabili israeliani armati fino ai denti che si permettano di rispondere al fuoco. La scelta della data è già discutibile. Quando i sovietici hanno liberato il campo di sterminio di Auschwitz, con molta calma, non era una loro priorità, il campo era praticamente vuoto. Le SS. si erano fortunatamente dimenticate di sopprimere gli internati che in quel momento si trovavano nelle infermerie, dando anche probabilmente per scontato che sarebbero morti da soli di fame e di freddo prima dell’arrivo dei sovietici. È grazie a questo che Primo Levi si è salvato. Le migliaia di deportati non erano più nel campo di concentramento, ma erano state spostate verso ovest, verso la Germania, sia perché non fossero liberate, sia per sfruttarle come forze di lavoro, in un viaggio fatto in parte a piedi e in parte in vagoni ferroviari aperti nel gelido inverno polacco. Il numero di morti nelle marce è stato talmente alto che sono state chiamate marce della morte. Il 27 gennaio del ’45 gli ebrei non sono stati liberati: la schiavitù e gli assassinii sono continuati per ancora lunghi atroci mesi. Il 27 gennaio semplicemente l’Armata Rossa è arrivata in un campo di concentramento vuoto. Dovendo scegliere come data la liberazione di un campo di concentramento avrei scelto Buchenwald, 11 aprile 1945. Il campo era stato evacuato solo parzialmente grazie alla resistenza dei detenuti, per cui ne furono liberati più di 20.000. A Buchenwald però sono arrivati americani, il partito comunista preferiva la data della liberazione del campo di Auschwitz anche se abbandonato, dove quindi non è stato liberato praticamente nessuno, salvo i pochi ancora vivi nelle infermerie. Il Partito Comunista Sovietico con tutte le sue numerose ancelle, i partiti comunisti dei paesi occidentali che gli hanno fatto da cassa di risonanza, ha imposto la data. Per distrarre l’attenzione dalle poche decine di milioni di vittime del comunismo reale, ha imposto anche un ricordo che non è spontaneo, né poteva esserlo ovviamente, e che, come tutte le cose calate dall’altro, ha creato fiumi di soffocato risentimento. Una delle linee di questo risentimento è il negazionismo: non erano 6 milioni ma 2 milioni e mezzo, anzi 50.000, forse 1200. Il 4 e il 6 ottobre 1953 a Posen, Himmler riconobbe in due discorsi ufficiali come i nazisti stessero sterminando sistematicamente tutti gli uomini, le donne e i bambini ebrei che trovavano sulla loro strada, tutti. Questo dovrebbe porre fine alle discussioni. Il conto non è difficilissimo da fare: bisogna fare la somma degli ebrei che c’erano prima del nazismo, sottrarre quelli che ancora erano vivi alla fine del nazismo, sottrarre ancora un 5 % di morti di morte naturale o sotto un bombardamento: la cifra ottenuta è quella dei morti ammazzati. Che siano morti perché hanno loro sparato addosso come facevano in Ucraina, perché li hanno gasati o perché sono morti di fame e tifo dopo essere stati internati, non fa differenza. Gli ebrei non potevano scappare da nessuna parte, visto che tutte le nazioni a cominciare la Svizzera avevano chiuso loro le frontiere, e meno che mai potevano scappare nemmeno nella terra di Israele visto che i palestinesi avevano costretto la Gran Bretagna a mettere il veto. Dello sterminio una parte di responsabilità l’hanno le nazioni che hanno chiuso le frontiere. Lo sterminio è stato reso possibile dalla collaborazione delle popolazioni locali. Dove le popolazioni locali non hanno collaborato, o hanno collaborato poco e male, Danimarca, Bulgaria e Corsica, le popolazioni ebraiche sono state in tutto o in parte salvate. Che l’Europa abbia collaborato allo sterminio degli ebrei fa sì che gli europei intendano superare i sensi di colpa con l’antica pratica della criminalizzazione della vittima, con le tesi più tragicamente idiote che comunque continuano a circolare: “Hitler era ebreo, o comunque aveva sangue ebraico, il nazismo è stato sostenuto dagli ebrei, ai quali ha fatto comodo avere un po’ di morti così hanno potuto mettere le mani sulla Palestina, dove stanno commettendo un genocidio, quindi siamo al pareggio”. Queste bestiali idiozie continuano a circolare. Il popolo d’Israele ha riconquistato e difeso con il suo coraggio la terra dei suoi padri, che prima aveva acquistato a prezzi altissimi e come si dice in Toscana “chi vende non è più suo”. Lo stato di Israele è costituita da 19.000 km² senza una goccia di petrolio che in mano ai palestinesi erano una semidisabitata sterpaglia desertica a sud e paludosa a nord. Il progetto di sterminio nazista comprendeva anche gli ebrei già al sicuro nella terra che sarebbe poi diventata Israele, mediante un patto d’acciaio tra i palestinesi e nazisti. Ha ricostruito tutta questa oscura parte della storia il libro “Nazi Palestine, the plans for extermination of the Jews in Palestine”, di Klaus Michael Mallmann e Martin Cuppers. I campi di concentramento non sono stati fatti in un giorno. All’inizio ci fu un allontanamento dalle cariche pubbliche, il divieto di matrimoni misti, e ovvi progetti di espulsione. Alla Conferenza di Evian del 1938 tutte le nazioni con l’esclusione dell’Honduras rifiutarono di accogliere gli ebrei tedeschi, sia perché non avevano capito, era inconcepibile, che rischiavano la vita, sia per non destabilizzarsi accogliendo minoranze. La Gran Bretagna vietò che andassero in Palestina per evitare altri disordini. L’odio condiviso per gli ebrei creò una convergenza crescente che portò a un cambiamento epocale nella politica estera tedesca, che alla fine degli anni ’30 spostò il suo focus dal cercare di accelerare l’emigrazione ebraica al fornire sostegno diretto ai nazionalisti arabi. L’intervento diretto della Germania nel mondo arabo iniziò con l’arrivo dell’Afrlka Korps in Libia nel febbraio 1941. Per i nazionalsocialisti questo evento era direttamente collegato ai piani strategici di vasta portata per la conquista dell’intero Medio Oriente. Nel momento in cui Hitler salì al potere è evidente e anche ovvio che divenne la speranza di chi voleva distruggere quell’embrione di nazione che sarebbe diventata Israele. Nel 1941 la Germania nazista sembrava invincibile. Nel Nord Africa la sua vittoria sembrava certa. A Berlino venivano elaborati piani molto specifici per garantire il genocidio degli ebrei in Palestina. Con l’invasione dell’Egitto alle porte, molti nazionalisti arabi che cercavano di eliminare la presenza britannica e francese nel Nord Africa e nel Vicino Oriente si rivolsero a un leader, il Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Amin el-Husseini, come guida. Il Mufti visitò le capitali dell’Asse e ebbe diversi incontri con Adolf Hitler. La Germania nazista non solo promise di porre fine alla “presenza coloniale” europea che aveva sostituito l’Impero Ottomano, ma si impegnò anche a spazzare via gli ebrei che vivevano in Palestina da tempo immemorabile, così come i nuovi arrivati con il movimento sionista moderno nel diciannovesimo secolo e in seguito alla Dichiarazione Balfour del 1917. Il processo di sterminio stava per essere attivato e gli ufficiali delle SS e dell’SD (Sicherheitsdienst Servizio di Sicurezza) erano stati selezionati e assegnati al compito. Dovevano operare dietro le linee con l’aiuto di coloro che nella regione erano ansiosi di unirsi alla task force. Quando l’Afrika Korps fu sconfitto a EI Alamein, l’Einsatzkommando (nome dato a squadre della morte mobili come quelle che agirono in Ucraina) spostò le sue operazioni in Tunisia, dove per molti mesi attuò crudeli politiche antiebraiche. Fu uno specifico programma di sterminio regionale nel contesto dell’Olocausto, di cui resta traccia negli statuti di Hamas e Al Fatah, che prevedono al primo articolo la distruzione dello Stato di Israele. L’articolo 7 di Hamas afferma che saranno assassinati gli ebrei ovunque si trovino nel mondo. Questo è un programma genocidario. Israele risponde al fuoco. Gaza spara su Israele, dopo lo spaventoso pogrom del 7 ottobre, Israele spara su Gaza. Lo stato di Israele è l’unico che durante le guerre avverte dove sta per bombardare, perdendo così l’effetto sorpresa, ma dando tempo ai civili, oltre che i miliziani nemici, di mettersi al sicuro. Se si difende da aggressioni rinunciando alla forza massimale per diminuire le perdite dei civili nemici, viene comunque tacciato di genocidio. Ai civili palestinesi però è vietato l’accesso ai rifugi antiaerei. Come nella fiaba di Pollicino, l’orco che vuole uccidere i bambini degli altri, uccide i suoi stessi bambini.