Aboliamo il 25 aprile
La canzone Bella ciao è stata creata a guerra finita ed è stata creata per mentire, creare l’illusione che di resistenza ce ne sia stata una sola e nascondere i crimini dei partigiani rossi, che hanno massacrato i partigiani bianchi della divisione Osoppo. Il 25 aprile ricordiamo la liberazione dal nazifascismo che fu fatta, vale la pena ricordarlo, dalle truppe alleate. Fu una liberazione, certo, che peraltro ha incluso anche episodi tragici come gli stupri delle “marocchinate” e distruzioni inutili come quella del monastero di Monte Cassino. Ringraziamo, è stato sicuramente un vantaggio per noi, ma non un dono, e questo è il motivo per cui la nostra politica estera non è autonoma né libera, ancora oggi. La resistenza italiana è divisa in tre tronchi, verdi, bianchi e rossi, come la nostra bandiera. I Verdi, giustizia e libertà, sono ad esempio Oriana Fallaci e Primo Levi, grandi ideali e poche armi, Bianchi i Badogliani, e i Rossi, la brigata Garibaldi, i comunisti e comunista voleva dire una sola cosa: che prendeva ordini da Stalin. I bianchi erano in maggioranza ex militari, quindi avevano le armi e le sapevano usare. Erano in contatto radio con gli alleati che impartivano ordini cifrati attraverso Radio Londra. Era così possibile che le loro azioni fossero coordinate a quelle degli eserciti alleati. Erano partigiani bianchi gli uomini della divisione Osoppo massacrata a tradimento dai partigiani rossi a Portius, episodio che l’Associazione Nazionale Partigiani non ricorda mai. Vale per la resistenza italiana la stessa regola che George Orwell ha descritto nel saggio In omaggio alla catalogna e che Arthur Koestler ha descritto nel romanzo Buio a mezzogiorno: i partigiani non comunisti avevano due nemici, i nazifascisti e partigiani comunisti, entrambi nemici mortali. Ai partigiani comunisti dobbiamo anche la serie di assassini e ancora più terribili scomparse di persone che diventano desaparecidos a guerra finita, nel cosiddetto triangolo rosso. La canzone Bella ciao ha tre scopi: creare l’illusione che ci sia stata una sola resistenza omogenea, e cancellare il crimine della Osoppo e gli altri crimini analoghi. Non era pensabile che tutti i partigiani avessero la stessa canzone perché erano diversi dal punto di vista politico, e distanti da quello geografico. Chiunque canti Bella ciao sta calpestando i morti della divisione Osoppo. Qualche anima molto candida obbietta: perché non usare la canzone come simbolo dell’antifascismo? Perché l’antifascismo non è uno solo. C’è l’antifascismo della divisione Osoppo a Porzus e quello di coloro che hanno massacrato come cani gli uomini della Osoppo prendendoli a tradimento. Il secondo scopo lo spiegano con spietata chiarezza Marco Della Luna e Paolo Cioni nel saggio “Neuroschiavi”: si tratta di creare un condizionamento mentale. “Lo stesso linguaggio è un fatto associativo: le parole evocano, automaticamente, per riflesso condizionato, senza filtro conscio, significati ma anche emozioni, giudizi, odio, simpatia, disprezzo, timore – basti pensare a parole come “fondamentalista”, “fascista”, “comunista”, “tasse”. Un efficace esempio è quello della canzone Bella Ciao. Quando un corteo di dimostranti canta Bella Ciao all’indirizzo di colui che percepisce come nemico politico (per esempio Silvio Berlusconi), quel canto fa scattare nei “coristi” e in buona parte degli spettatori tutta una cascata, una grappolata di associazioni condizionate, implicanti sia significati che emozioni assai gratificanti: «Noi siamo i partigiani antifascisti, buoni, eroici; tu sei il nazifascista, malvagio e bieco; noi siamo giustamente orgogliosi; tu sei un essere abietto, come Mussolini e Hitler». Questa grappolata di associazioni condizionate viene scatenata contro il nemico politico mediante una semplice canzone. Ed è assai difficile difendersi, replicare a un insulto come “sporco fascista”, o a una canzone, soprattutto a una che evoca miti, come Bella Ciao.”. Negli ultimi tre anni abbiamo assistito alla sospensione delle libertà più elementari, al disprezzo totale per il dissidente politico, questi sono i no vax, spacciato per untore sanitario, siamo immersi in una cultura bellicistica in tutto paragonabile a quella di settanta anni fa e c’è la possibilità che da un momento all’altro saremo in guerra con la Russia, che all’epoca si chiamava Unione Sovietica. L’ottimo libro sulla schiavitù neuronale è stato scritto prima della pandemia, manca il meglio della distruzione della libertà e dell’individuo, cui un mucchio di intellettuali, parola dalla etimologia sempre più impenetrabile, come per esempio Scurati, hanno plaudito con tutta la loro energia. Nemmeno il fascismo aveva imposto mai farmaci pessimi e sperimentali a cittadini cavia costretti a firmare un consenso per non perdere lavoro e diritto a salire su un treno. Il fascismo ha fatto schifo. L’antifascismo è stato un fallimento. Ha assolto il comunismo da tutti i suoi crimini, ha creato eroi e eroine che bruciano piccoli appartamenti pieni di bambini (Primavalle) e sfondano a martellate il cranio dei nemici (Budapest). Ci ha regalato un regime che ci ha lasciato senza verità per il rapimento Moro, per l’abbattimento dell’aereo di Ustica, per la stazione di Bologna e per innumerevoli altre tragedie. Il regime recente degli antifascisti militanti ha permesso la distruzione della libertà anche di uscire, e l’odio più becero verso il dissidente che rifiuta mascherine inutili e vaccini dannosi, ringraziamo il garante della Costituzione per questi risultati esaltanti. Il 25 aprile ci saranno latrati contro la Brigata Ebraica che ha combattuto contro i nazifascisti e inni ai palestinesi che ne erano alleati, perché il vero “antifa” non si interessa di quisquilie come la storia. “Nazi Palestine: The Plans for the Extermination of the Jews in Palestine: Hitler’S Plan for the Middle East and the Arab World” è il saggio del 2009 di Klaus-Michael Mallmann e Martin Cuppers che ricostruisce le alleanze in Europa e in Medio Oriente tra palestinesi e nazisti per lo sterminio degli ebrei in Israele. La provvidenziale vittoria alleata a El Alamein ha impedito questo secondo olocausto. Avendo l’onore di appartenere a una famiglia antifascista anche prima del 1945, mi permetto tre modeste proposte: possiamo abolire i finanziamenti all’AMPI, che con eroico sprezzo del ridicolo sta spostando nel terzo millennio una battaglia della prima metà del secolo scorso, ammantandola di sfumature arcobaleno che avrebbero lasciato perplessi gli originali autentici combattenti, salvo sprofondare in un affetto profondo per le svastiche del battaglione Azov e di quelle di Hamas? Possiamo elargire lo stesso giustificato disprezzo che accompagna la parola fascista a un altrettanto giustificato disprezzo che accompagni la parola comunista? Di quanti milioni di morti hanno bisogno costoro perché le loro impalpabili coscienze abbiano un sussulto di indignazione? La terza proposta consiste di non ricordare la tragica data del 25 aprile, non è cortese per i morti della divisione Osoppo, per i sacerdoti e i seminaristi assassinati dai partigiani, per i civili assassinati dai partigiani, e festeggiare invece il 18 aprile dello stesso mese, quando con un’insorgenza civile incruenta, nel 1948, il popolo italiano sconfisse nelle urne il socialcomunismo, che sull’onda della vittoria sovietica contro il nazionalsocialismo sembrava inarrestabile. Lo propone l’avvocato Giovanni Formicola, che il 20 aprile nella sala della cripta della Chiesa di san Michele e san Gaetano in piazza degli Antinori a Firenze ha posto i primi semi di un movimento politico in questo senso. Raccomando una ricca adesione. Oppure possiamo fare una festa di riconciliazione, che i morti seppelliscano i morti, che i sette fratelli Cervi, tutti maschi, fucilati dai repubblichini nel ‘43 consolino della loro morte i sette fratelli Govoni, sei uomini e una giovanissima madre, uccisi nel maggio del ’45 a guerra finita dalla brigata Garibaldi “Paolo”. Possiamo commemorare il 28 aprile del ’45, quando partigiani e repubblichini hanno combattuto affiancati, per contrastare l’avanzata delle truppe francesi che volevano invadere la Valle d’Aosta, su ordine di De Gaulle, violando l’armistizio del ’43. Come racconta lo storico aostano Andrea Désandré nel suo libro Sotto il segno del Leone, il confine italo-francese nella Vagrisenche, Valle di Rhemes e a Pre-Saint-Didier fu difeso da partigiani dell’organizzazione Fiamme Verdi e le divisioni Monterosa e Littorio della Repubblica sociale, che per otto giorni tennero testa all’offensiva fino a quando arrivarono i carri armati statunitensi per intimare ai francesi di ritirarsi. Sono stati fratelli loro, per otto giorni, possiamo esserlo noi a settanta anni di distanza.
le immagini sono del quattordicenne seminarista Rolando Rivi seviziato e ucciso e del libeo di Leoni che ricostruisce le storie dei sacerdoti trucidati.
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