Il mare e la sua canzone
Emanuele Gavi, classe 1982, insegnante di lettere e blogger come lui stesso si definisce, consegna al lettore una raccolta di poesie dallo straordinario potere evocativo: il poeta ci conduce con i suoi versi sulla riva del mare, ad osservare il movimento incessante delle onde. Una suggestione in cui i pensieri vagano liberi, facendo affiorare riflessioni e ricordi. Emerge dalle sue parole la consapevolezza malinconica dell’impotenza dell’uomo di fronte a questo elemento:
Un bambino sulla rena
ha mai fermato il flusso che monta,
o ha mai impedito un giorno solo al mare
di ritirarsi senza salutare?
ha mai fermato il flusso che monta,
o ha mai impedito un giorno solo al mare
di ritirarsi senza salutare?
L’opera rappresenta la struggente dichiarazione d’amore dell’autore per il mare che, proprio come la persona amata, ci rende allo stesso tempo felici e timorosi:
Così, nell’ovale del viso
della donna che ammiro,
a gara sfavillano allegri
il gran mare stellato
e il suo sguardo divino.
della donna che ammiro,
a gara sfavillano allegri
il gran mare stellato
e il suo sguardo divino.
Le liriche di Emanuele Gavi contengono il bisogno di spiritualità dell’uomo moderno, la disperata richiesta di aiuto del naufrago di essere guidato attraverso la tempesta perché, come scrive il poeta, La vita spaventa, la morte atterrisce.
La magia dei suoi versi trasporta il lettore in un luogo fantastico, ma allo stesso tempo così reale che ci ritroviamo ad occhi chiusi, con il viso proteso al calore del sole, ad ascoltare il dialogo ininterrotto che il mare intrattiene con gli uomini che sanno comprendere:
Ditelo ai turisti,
che il mare non si può fotografare.
Solo viverlo, un poco appena.
che il mare non si può fotografare.
Solo viverlo, un poco appena.
E pare di sentire sulla pelle gli spruzzi di quel mare tanto amato. Un amore che diventa omaggio alla vita e alla speranza:
Il buio è ormai vinto.
Il chiarore si fa calore…
E l’anima ride.
Il chiarore si fa calore…
E l’anima ride.
L’elemento diviene, per il poeta, metafora dell’esistenza umana: segnata dal conflitto fra abisso e divino:
L’abbraccio del mare col cielo
è un dono di pace, un sollievo,
per l’uomo che arde
sulla via del sublime.
è un dono di pace, un sollievo,
per l’uomo che arde
sulla via del sublime.
Il desiderio di un porto sicuro a cui fare ritorno alla fine del viaggio:
Sulla via tortuosa,
la mia vita non sa
di noia e malinconia,
ma spera serenità.
la mia vita non sa
di noia e malinconia,
ma spera serenità.
La consapevolezza che ognuno può essere faro nell’oscurità degli eventi e rispondere all’s.o.s. di un’umanità che ha perso il senso del sacro e si è smarrita (ed ecco la fame di Dio che rimane):
I fari
Torri inastate a picco
nel cielo, i fari
affiorano fra le brume, e quando fuori
infuria la bufera, ai soffi
dei venti impetuosi
resistono immoti,
flagellati dalle spume.
Di giorno spiccano
bianchi nell’azzurro,
taciti annunci di casa o di un porto.
Nella tenebra saettano
rintocchi di luce,
come complici mute campane
recano conforto
a noi, naviganti nella notte.
nel cielo, i fari
affiorano fra le brume, e quando fuori
infuria la bufera, ai soffi
dei venti impetuosi
resistono immoti,
flagellati dalle spume.
Di giorno spiccano
bianchi nell’azzurro,
taciti annunci di casa o di un porto.
Nella tenebra saettano
rintocchi di luce,
come complici mute campane
recano conforto
a noi, naviganti nella notte.
Paiono isolati e strani
i fari,
a vederli diritti mirare in alto,
nel piatto deserto conforme
di questa terra in guerra
per l’odio di sé.
Ma i fari non sono mai soli.
Presto qualcuno verrà
– e sarà una festa di luci –
ad accenderli ancora.
i fari,
a vederli diritti mirare in alto,
nel piatto deserto conforme
di questa terra in guerra
per l’odio di sé.
Ma i fari non sono mai soli.
Presto qualcuno verrà
– e sarà una festa di luci –
ad accenderli ancora.