Chi trova un amico trova un tesoro, seconda parte
Un altro libro fondamentale sul tema dell’amicizia adolescenziale è L’amico ritrovato, primo capitolo de la Trilogia del ritorno, che comprende anche Un’anima non vile e Niente resurrezioni, per favore, di Fred Uhlman, scrittore e pittore tedesco, nato a Stoccarda nel 1901, laureato in giurisprudenza, avvocato e oratore del partito socialdemocratico. L’avvento del nazismo lo costrinse a passare dalla condizione di avvocato a quella di apolide, che riuscirà a illuminare con qualche guadagno cominciando la carriera di pittore. Nel 1971 pubblicò la sua opera più famosa: il romanzo breve L’amico ritrovato (Reunion). Il protagonista Hans Schwarz è un sedicenne figlio di una famiglia di ebrei tedeschi, molto più tedeschi che ebrei. Il padre è un medico, decorato nella prima guerra mondiale, non credente, figlio della madre patria Germania che ama appassionatamente. È stata una condizione frequente tra gli ebrei tedeschi, molto integrati nella società tedesca, una delle meno antisemite, al punto tale che la Germania era uno delle mete di immigrazione per gli ebrei dell’Europa Orientale, in fuga dall’antisemitismo polacco o ucraino. Nel febbraio del ’32 nella sua classe di ginnasio liceo, il nostro liceo classico, viene aggregato anche Konradin von Hohenfels, di famiglia nobile e figlio di un ex ambasciatore. I due ragazzi sono entrambi due solitari, entrambi privi di amici. Attraverso il comune amore per la bellezza e per la storia, entrambi hanno una collezione di monete greche, i due diventano amici, un’amicizia potente, che il nazismo interromperà. Konradin subisce il fascino di Hitler, che risolleva la Germania economicamente distrutta da una guerra disastrosa e da una pace ancora più disastrosa. Finalmente la Germania sembra avere un futuro. Hans comincia ad essere perseguitato, è costretto a fuggire dalla Germania, i suoi genitori sono spinti al suicidio, una tragedia questa molto diffusa e poco raccontata: molti ebrei, soprattutto tedeschi e austriaci, perfettamente integrati in una società che avevano sempre considerato loro, decisero di non sopravvivere a un capovolgimento mostruoso. Il libro è intriso di dolcezza e di nostalgia, punteggiato di lunghe descrizioni di luoghi che non esistono più, distrutti dalle bombe e dalla follia, di un società cancellata per sempre con la sua perduta grazia. Lo spiega lo scrittore Arthur Koestler in un bel saggio sul libro scritto nel 1976, prefazione all’edizione italiana: «Le mie ferite» scrive il protagonista Hans Schwarz «non si sono chiuse; pensare alla Germania è come strofinarci sopra del sale.» Eppure i suoi ricordi sono soffusi di struggimento per «le dolci, serene colline azzurrognole di Svevia, rivestite di vigneti e coronate di castelli», e per «la Foresta Nera, dove i boschi scuri, odorosi di funghi e delle lacrime di una resina color ambra, sono solcati da torrenti popolati di trote, con tante segherie sulle sponde». Eppure il sapore che indugia sulle nostre labbra dopo la lettura è la fragranza del vino locale, bevuto nelle osterie rivestite di legno scuro sulle rive del Neckar e del Reno. Non c’è nulla della furia di Wagner; è come se Mozart avesse riscritto Il crepuscolo degli dei. Si sono ormai pubblicate centinaia di ponderosi volumi sul tempo in cui i cadaveri erano fatti fondere per cavarne sapone e mantenere pulita la razza superiore; eppure io credo sinceramente che questo esile libretto troverà sugli scaffali un suo posto duraturo con una prosa tormentosa quanto lirica. L’amicizia tra Hans e Konradin ha le caratteristiche dell’amicizia adolescenziale, totalitaria e potente, vale a dire un’amicizia basata sui massimi sistemi, un legame all’interno del quale si parla di Dio e della morte. Hans è sconvolto dall’incendio di una casa vicina che ha distrutto nel rogo la vita di due ragazzine, che diventa simbolo di ogni dolore innocente e che inevitabilmente rimanda la mente del lettore a tutte le vite innocenti che stanno per essere bruciate. Hans preferisce credere che Dio non esista, piuttosto che credere all’esistenza di un Dio che permette che i bambini siano torturati. Konradin ne è scosso, ma sarà proprio questa meditazione sul dolore innocente che rafforzerà la sua fede in Cristo egli permetterà di fare alla fine la sua scelta eroica. Se il nazismo e la morte non li avessero separati, Hans e Konradin sarebbero rimasti con la loro amicizia eterna, ognuno a proteggere i bambini dell’altro, ognuno testimone di nozze dell’altro. Lo scopo dell’amicizia adolescenziale è renderci più forti, migliori. Ognuno dei due ragazzi dà il meglio di sé. Lo scopo dell’amicizia adolescenziale è parlare di Dio della morte. Lo scopo è anche quello di creare un legame forte che permetta il distacco di genitori, che difatti nel libro restano sullo sfondo, esattamente come sono sullo sfondo durante l’adolescenza. C’è un momento in cui il ragazzo o la ragazza rompono o interrompono il rapporto esclusivo con il genitore attraverso una relazione forte con una persona dello stesso sesso. Questo preparerà la capacità a una relazione molto più complessa con una persona del sesso opposto che a sua volta permetterà loro di diventare completamente adulti e, finalmente, a loro volta genitori. La relazione con l’amico dello stesso sesso ha funzioni fondamentali: permette il distacco emotivo dai genitori, indispensabile a diventare adulti, permette la formazione del senso del sé, che si attua solo nella relazione, non in solitudine, prepara alla relazione con l’altro sesso più difficile e complessa e offre per tutta la vita un sostegno. Nei tempi descritti nel libro le classi erano giustamente separate in classi maschili e femminili. Spesso c’erano anche due ingressi separati. È una forma di assoluta saggezza: perché mettere sugli stessi banchi persone che hanno gli ormoni alle stelle salvo poi stupirsi che non seguono le lezioni perché pensano ad altro? Fino agli anni 50 classi erano rigidamente separate, era possibile quindi che si formasse la formidabile amicizia adolescenziale, era possibile restare concentrati sul problema di Dio e della morte. Ora in un mondo “eroticizzato” e sessualizzato immerso in classi miste ci si avventura troppo presto in avventure con l’ altro sesso, troppo acerbe e che lasciano l’amaro in bocca. La sessualità non è un giocattolo e può generare la vita. Può fare morti e feriti. Può dare senso alla vita, può crearla, può spezzare e distruggere. Il secondo danno è che l’amicizia adolescenziale, fondamentale per la nostra vita, venga scambiata per altro. Su molti siti la storia del libro è presentato come una forma più o meno inconsapevole di omosessualità, termine improprio con cui si indica la negazione della sessualità che viene sostituita da un rapporto erotico tra uguali. È vero l’esatto contrario. È l’amicizia adolescenziale che nel mondo attuale tragicamente sessualizzato, anzi eroticizzato, è scambiata per un rapporto omosessuale, e questa è una trappola che ingabbia innumerevoli ragazzi e ragazze anche per la vita. L’amicizia tra Hans e Konradin nasce perché ognuno ha caratteristiche che l’altro vorrebbe avere, bellezza e stato sociale da un lato, libertà di movimento e pensiero dall’altro, mentre in comune ci sono l’amore per la bellezza e la sofferta ricerca della verità metafisica. Tutto questo può simulare un innamoramento, proprio perché prepara al vero innamoramento, quello con l’altro sesso, che sarebbe meglio avvenisse solo dopo che la maturazione psicologica sarà completata, e l’amicizia adolescenziale ha proprio il compito di portare a termine questa maturazione, insegnando a smussare gli angoli spinosi dell’ego, ad ascoltare l’altro, a entrare nella sua testa, a perdonare imperfezioni e colpe, come spiega Konradin in una drammatica lettera contenuta nel secondo libro della trilogia. La cosiddetta omosessualità, termine improprio, non è genetica. Questo è stato dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio dagli studi del genetista Andrea Ganna in uno studio di Harvard e Mit pubblicato su Scienze, autorevole rivista scientifica, uno studio sulla cosiddetta omosessualità, che conferma le ipotesi di Joseph Nicolosi e Richard Cohen, non una caratteristica genetica, ma risultato di ambiente e cultura, non un destino, ma uno stile di vita che diventa talmente abitudinario da creare dipendenza. Ed è uno stile di vita biologicamente perdente, in quanto biologicamente sterile e in quanto gravato da un aumento statisticamente importante di malattie, un comportamento quindi su cui è doveroso dichiarare la verità che è quella che rende liberi, che dà la potenza del cambiamento. Quante persone restano bloccate dalla eroticizzazione della fisiologica amicizia adolescenziale, verso la quale spingono media, scuola, politica e attivisti che entrano nelle scuole? L’amicizia adolescenziale è una fortuna straordinaria, preziosa e potente, che ha il dono di renderci migliori.