Still life
Un’anziana signora è stata trovata morta pochi giorni fa nel suo appartamento di Como: il decesso risale a due anni fa. Ad attirare l’attenzione è stato il disordine del piccolo giardino. Il momento è venuto, per tutti coloro che se lo fossero perso, di vedere: Still Life (2012), film del regista Uberto Pasolini, con uno straordinario Eddie Marsan nel ruolo del protagonista.
Still life significa “natura morta”, ma anche “vita immobile” o “ancora una vita”. Non a caso è il titolo di questo bellissimo film in cui il protagonista, John May, un uomo di mezza età, è un funzionario statale che ha il compito di organizzare il funerale delle sempre più numerose persone che muoiono in totale solitudine. Entra nei loro appartamenti alla ricerca di elementi che lo aiutino a rintracciare parenti o amici che vogliano dare l’ultimo saluto. In assenza dei familiari, si occupa lui di tutto. John May partecipa, sempre solo, ai funerali, scrive elogi funebri basati sulla carta identità e i pochi poveri oggetti trovati, sceglie con grandissima attenzione la musica Non sappiamo nulla della sua religiosità, quando sparge le ceneri di un uomo non si fa il segno della croce, ma sappiamo che prima di spargerle le fa mettere in un’urna e che, per spargerle, sceglie il roseto da cui si vede la chiesa.Raccoglie in un album, che aggiorna con regolarità, le fotografie dei morti che ha accompagnato, dei quali è stato l’ultima e unica presenza. Il dolore di queste morti e di queste solitudini lo schiaccia. La sua vita è incolore, ordinatissima e silenziosa, come il suo appartamento e come il suo ufficio. Anche gli odori e i sapori sono ridotti al minimo. John May mangia sempre le stesse cose, scatoletta di tonno, fetta di pane, tè nero e una mela cui leva la buccia in una lunga striscia ininterrotta. I suoi abiti sono modesti, ma indossa sempre giacca e cravatta e nel minuscolo ufficio il piano della scrivania ed i fascicoli negli scaffali sono meticolosamente messi in un ordine perfetto, come gli oggetti della sua casa. Ogni giorno, al termine dell’orario di lavoro, torna nel suo appartamento, appende la giacca alla spalliera della sedia, pone le stoviglie sul sottopiatto e sottobicchiere preparati sulla immacolata tovaglia di carta, mangia la sua scatoletta di tonno, e poi aggiorna l’album. Ogni giorno John May si batte per ridare dignità alla morte, perché dove la morte non abbia dignità, non può averne la vita. Ogni giorno si immerge nell’isolamento totale delle povere vite senza parenti del postmoderno, dove sempre più persone sono disperse nella solitudine totale del naufrago o del traversatore del deserto, dove le esistenza sono atomizzate. Si ferma un attimo a guardare il cuscino stropicciato su cui una donna è morta completamente sola, perché in dieci anni nessuno è mai andato a trovarla, e con lei nella foto sul camino c’è la gatta, perché nella sua vita non c’erano altri effetti. Ogni giorno John May combattere con una tenacia infinita una solitaria e sempre disperata battaglia, per trovare qualcuno che accompagni il funerale, e vada a dare l’ultimo saluto.
Il caso di Billy Stoke lo sconvolge. L’uomo è un alcolizzato morto nel suo stesso condominio, nell’ edificio di fronte a quello dove abita lui. La sua finestra è quella di Billy Stoke si guardano. Lui non ha mai fatto caso a quell’uomo, non lo conosce. È evidente, mentre guarda le due finestre, l’una di fronte all’altra eppure distanti come fossero su due galassie diverse, che si rende conto che quello potrebbe essere il suo destino, ritrovato in casa dopo giorni e giorni dalla morte perché i vicini hanno protestato per l’odore. John May cerca nell’appartamento sudicio e disordinato gli indizi per ricostruire gli affetti dell’uomo, trova un album con le fotografie di una bimba, sa che Billy Stoke ha avuto una figlia. Mentre è all’opera viene convocato dal nuovo superiore che gli comunica il licenziamento, giustificandolo con la necessità di “tagliare i rami secchi”: lui è meticoloso, ma lento, e soprattutto aumenta i costi: aspetta settimane, a volte mesi prima di seppellire qualcuno nella speranza di trovare un parente o un amico per l’ultima saluto. Quando può, sceglie il funerale, molto più caro, rispetto alla cremazione. Da qui la decisione di sostituirlo con una persona che faccia in fretta, qualcuno che rovesci le ceneri dei cremati direttamente dai contenitori in plastica, uno dopo l’altro, in un posto qualsiasi, che non sprechi tempo a cercare qualcuno che venga a dare l’ultimo saluto. John May deve finire ultimo caso, non può permettere che Billy Stoke venga seppellito solo, buttato in qualche maniera. Continua, licenziato, a proprie spese, a ricostruire la vita dell’altro, incontra innumerevoli persone, scopre una seconda compagna, una seconda figlia, una nipotina, ritrova gli operai che hanno lavorato con Billy e per i quali si era battuto, il direttore della prigione che lo ha ospitato, i compagni cui ha salvato la vita da paracadutista alle Falkland, i mendicanti insieme ai quali ha chiesto l’elemosina e insieme a loro, seduto sui gradini, John May beve il suo primo sorso di whisky. E soprattutto ritrova Kelly, la figlia che Billy ha abbandonato bambina, anche lei ha una vita atomizzata, vive sola in un appartamento dove c’è la sciatteria tipica di chi vive solo, con una poltrona rotta posata su una pila di libri e la fotografia fatta col cane, perché non ci sono altri affetti. Il film è anche un film sulla paternità. Billy Stoke, come altri padri che John May ha seppellito, non è stato un padre ideale, ma resta il padre. Il comandamento Onora il padre e la madre usa il verbo onorare, nel senso di onorare un debito. Se siamo vivi, lo dobbiamo ai nostri genitori. Se onoriamo loro, onoriamo, cioè diamo onore, valore, alla nostra vita. Se non lo facciamo, la nostra vita perde di valore. Dove non esiste il funerale, dove non ci si riunisca per l’ultimo saluto, nessuna decenza è più possibile, ma solo vite atomizzate dove i servizi sociali vengono poi a informarsi del cadavere
Nel ricostruire la vita dell’altro, John May esce dal mondo dei morti. La sua vita si riempie di colori, un maglione verde, si riempie di odori e sapori nuovi, mai provati prima, la cioccolata, il pesce, l’ whisky, si riempie di esperienze mai provate, il pub, di un piccolo strepitoso istante di trasgressione. Alla fine riesce, la figlia ritrova il padre, accetta di andare al funerale.
John May sacrifica il suo denaro perché l’altro uomo abbia una lapide e una tomba magnifica a cui si vede fino all’orizzonte. Quando la figlia ringrazia risponde che quello è il suo lavoro. In realtà è già stato licenziato: quella è la sua missione, la missione di dare dignità alla morte perché anche la vita possa averne. Il funerale di Billy Stoke sarà il capolavoro della sua vita. La figlia scopre la sorella e la nipotina, mendicanti, reduci delle Falkland, operai e guardie penitenziari si incontrano e si conoscono, per creare nuovi rapporti di amicizia e di fede nell’uomo.
Amiamo questo film perché abbiamo tutti quanti un disperato bisogno di uomini buoni. Amiamo questo film perché abbiamo tutti quanti il cuore spezzato per quello che ci è stato fatto in questi due anni tragici. I nostri morti non hanno avuto diritto al funerale, sono morti soli come cani senza nessuno che tenesse loro una mano. Nessuna necessità sanitaria giustifica l’incredibile sceneggiata di Bergamo con le bare spostate dai camion militari e i morti cremati, con il doppio vantaggio di levare al popolo la dignità e l’onore del funerale e di levare gli il diritto alla verità, e alla verità di una malattia e della sua gestione si arriva solo attraverso le autopsie. Tutti sono stati rinchiusi, anche i bambini, come mafiosi agli arresti domiciliari. Le amicizie sono state frantumate. Le famiglie sono state disperse. Il popolo privato del funerale è un popolo che si avvia verso la propria distruzione. L’agenda di Davos del 2030 prevede un popolo di atomizzati, ognuno rinchiuso nel suo cubo di plexiglas, ognuno che morirà da solo perché poi i servizi sociali si occupino di una rapida cremazione.
Guardiamo Still Life e ricominciamo a credere agli uomini buoni, quelli che hanno il coraggio infinito di andare contro la direzione idiota che ha preso la loro epoca, soli e senza esitazione, come leoni.
Riscopriamo che il dolore del funerale è uno di dolori indispensabili alla vita umana, come indispensabili alla vita umana sono amore e fraternità e soprattutto libertà e verità, che, insieme ai funerali, ci sono state tolte. John May for President.
Ho visto questo film innumerevoli volte. Il finale è struggente. Ringrazio il regista Pasolini per questo d dono. un amico ha proposto due possibili titoli alternativi: L’ultimo amico, oppure Il difesnode degli ultimi.
Il film è qui
https://www.raiplay.it/video/2017/04/Film-Still-Life-a9912ca8-b46d-4e60-b60f-c167eee20dfa.html?autoplay=true&wt_mc=2.google.catalog.stilllife.