Vittime e carnefici
Il saggista francese Pascal Bruckner, già autore dell’ imperdibile libro La mistica delle penitenza, aveva a lungo esaminato il problema della beatificazione della debolezza, o supposta tale, e della santificazione del ruolo di vittima. Il valore della nostra epoca è essere vittime. Poter vantare persecuzioni garantisce prestigio e platee adoranti. Il tragico è che essere forti è considerato un crimine. Alla forza è tolta ogni pretesa di possibile innocenza. Che il forte non abbia commesso crimini è irrilevante. Per il solo fatto di essere forte, è colpevole. Nel suo nuovo pamphlet Un colpevole quasi perfetto, la costruzione del capro espiatorio bianco, Pascal Bruckner riporta un episodio inquietante. In un saggio sottoposto alla rivista Sociology of Race and Ethnicity nel 2018, tre accademici americani, hanno proposto alla redazione alcuni passi scelti dal Mein Kampf sostituendo «ebrei» con «bianchi». Alla fine l’articolo viene rifiutato ma non prima di aver ricevuto il plauso di numerosi accademici che interpretano lo studio alla lettera: «Questo articolo ha le potenzialità per fornire un contributo forte e originale all’analisi dei meccanismi che rafforzano l’adesione a prospettive suprematiste bianche». Il fatto è gravissimo perché dimostra come degli accademici possono credere che gli appartenenti a un determinato gruppo etnico, tutti, siano malvagi a prescindere, siano pericolosi, debbano essere bloccati e ridotti all’impotenza anche quando non abbiano commesso nessun crimine.
Il suprematismo bianco riguarda solo i maschi bianchi. Le donne sono innocenti. Non è un caso che i tre autori, Peter Boghossian, James Lindsay e Helen Pluckrose, si fossero già fatti notare per altre bufale, molte delle quali erano state accettate da riviste di alto livello: una riguardava «la cultura dello stupro fra i cani che frequentano i parchi canini di Portland (Oregon)»; un’altra del 2017 sosteneva che il pene è una costruzione sociale e che è responsabile, fra le altre cose, del surriscaldamento globale.
È stato solo grazie a queste bufale precedenti, di cui la memoria eterna di Internet aveva conservato traccia, che il saggio con i passi scelti dal Mein Kampf è stato rifiutato. Se fosse arrivato da una qualsiasi altra fonte, da un qualche altro ricercatore possibilmente appartenente a una qualsiasi minoranza con aspettative di vittima, sarebbe stato sicuramente osannato. Il solo fatto che abbia ottenuto notevole approvazione è già un segni assolutamente sinistro. Esistono categorie etniche, anzi esiste una categoria etnica, il maschio bianco eterosessuale, che è considerata responsabile di tutti i mali del mondo. Il suo dolore può essere deriso. Nel momento in cui è vittima di aggressioni tragiche, come essere evirato, essere ucciso, ricevere una secchiata di acido in faccia che distrugge i suoi occhi, i suoi lineamenti e la sua vita, sarà subito sospettato di averlo meritato. Per lui l’innocenza è impossibile. È lecito pensare che gli appartenenti alla categoria uomo siano tutti malvagi, che la malvagità sia intrinseca, che la loro unica possibilità di parziale redenzione passi attraverso il rinegare le stesse caratteristiche virili.
Il vittimismo femminista brilla e scintilla in quella sciagura cosmica che è la celebrazione dell’8 marzo, in un tripudio di mimose imbalsamate nel cellofan, nata sulla celebrazione di un falso storico, un rogo in cui morirono delle operaie, fortunatamente mai avvenuto. Se fosse avvenuto sarebbe peraltro da ascrivere alle numerose tragedie che avvengono sul lavoro, tragedie che riguardano quasi essenzialmente i maschi. Nella stragrande maggioranza dei casi gli incidenti sul lavoro riguardano maschi, sono dovuti molto spesso a incuria, a sciatteria, a regole non rispettate, quindi sarebbero evitabili, non sono considerati una forma di violenza di genere, eppure dimostrano che della vita dei maschi non sembra interessare molto a nessuno. Anche quelli che durante la prima guerra mondiale dovevano uscire nelle trincee e correre verso i reticolati sotto il fuoco delle mitragliatrici non sono stati considerati come vittime di violenza di genere, eppure l’impressione è che la loro vita non importasse molto a nessuno. Che di due categorie di persone venga considerata vittima quella che meno spesso viene mandata a morire è semplicemente stupido. Più di una volta l’8 marzo mi è capitato di sentire frasi ripugnanti: le donne sono più intelligenti degli uomini. Le donne sono il futuro e alle donne appartiene futuro. Le donne sono più creative, più comprensive, più buone. L’uomo è un modello superato.
Queste incredibili idiozie vengono ripetute anche a scuola; come ho già detto in altri articoli, voglio le quote azzurre. Metà dei posti da insegnante deve essere ricoperto da maschi, perché gli studenti maschi hanno diritto a modelli maschili e soprattutto non devono essere immersi in un mondo sempre femminile, dato che il cervello maschile funziona in maniera diversa da quella femminile e dato che un numero non piccolo di professoresse cede al vittimismo femminista che è misandria. Nessuno a scuola deve poter essere sottoposto a disprezzo per quello che è. Nelle scuole gli studenti non devono essere sottoposti a misandria. È già sufficiente quella della televisione, dei cartoni animati, dell’orrido festival di San Remo, delle serie televisive, e di film di squisita idiozia da Sodato Jane a Wonder Woman.
Femminismo da non credere è il titolo del pamphlet di Bruno Etzi che riporta come i maschi possano essere serenamente calunniati, inventando milioni di stupri mai avvenuti, come il loro dolore possa essere deriso, come il loro assassinio possa essere considerato una forma di giustizia.
Nella difficile scelta dell’episodio più idiota, più nauseante, the winner is lo spettacolino di Angela Finocchiaro.
Il 18 novembre 2018, in prima serata, l’attrice Angela Finocchiaro compare come fata in una puntata del remake La TV delle ragazze – Gli stati Generali 1988-2018, un programma di satira femminista condotto da Serena Dandini. La scenetta si svolge così:
«Ma davvero sei una fata?», chiedono le bimbe.
«Siii, sono la fata dei giardinetti in mezzo al traffico», risponde la Finocchiaro.
«Che bello!», esclama una bimbetta.
«Perché parli con noi, perché ti sentiamo, perché non ti vediamo?», dice un’altra.
«Perché devo dirvi una cosa molto importante»
«Come la Madonna ai pastorali di Fatima», chiede una morettina. Non sia mai che evitiamo il disprezzo alla religione cattolica, sarebbe imperdonabile. Il disprezzo per il cattolicesimo è un must come la misandria. Immaginiamo se la battuta fosse stato: come l’Arcangelo Gabriele quando parla a Maometto. Sorvolando sul rischio fisico, il coraggio chi non ce l’ha non se può dare, sarebbe stato considerato, e forse non a torto, un razzismo intollerabile. Bene, razzismo intollerabile è anche quando si deride Fatima.
«Ehh.. tipo..», riconosce la Finocchiaro
«Che cos’è la cosa così importante?», insiste un’altra bimba.
«Bambine, ricordatevi sempre che gli uomini sono dei pezzi di merda!» messaggio di importanza metafisica come quello della Madonna di Fatima.
«Anche il mio papà?», chiede una bimba.
«Soprattutto il tuo papà», conclude perentoria la Finocchiaro.
Ho la nausea anche solo nel riportarlo. Questa donnetta ha insultato mio padre, mio figlio, il mio amato marito, gli uomini che hanno ceduto il loro posto alle donne sul Titanic, gli uomini che sono morti in miniera o sulle baleniere perché le loro donne avessero qualcosa da mangiare, gli uomini che hanno combattuto e vinto a Lepanto, gli uomini che hanno combattuto e vinto a Vienna, perché le donne d’Europa potessero non essere più rapite e non finire schiave. Ha insultato suo padre e tutti gli uomini che ha attirato nella sua vita che, evidentemente, erano mediocri nella migliore delle ipotesi, pessimi nella più probabile. Ha offeso, in quanto uomini, anche Gesù Cristo, San Giuseppe, Salvo D’Acquisto, Massimiliano Kolbe. Sostituite alla parola uomo la parola ebreo, ed avrete lo stesso concetto del Mein Kampf, qualcuno che nasce colpevole, senza speranza di redenzione. Nessun uomo, mai ha pronunciato frasi di questo genere con la parola donna e madre a sostituire uomo e padre.