Chi è l’unico Papa della Chiesa Cattolica?
PAPA E ANTIPAPA: L’INCHIESTA – PERCHÉ LA “RINUNCIA” AL PAPATO DI BENEDETTO XVI È INVALIDA – Parte 1
Nell’introduzione di ieri vi abbiamo sottoposto QUI tutte le stranezze delle presunte dimissioni di papa Ratzinger: avrete capito che c’è molto, troppo che non quadra. Oggi entriamo subito nel merito, illustrandoVi nel modo più semplice e immediato perché la Declaratio di Benedetto XVI, dell’11 febbraio 2013, non fu un atto di rinuncia al papato.
Il pezzo di oggi è fondamentale per capire tutto il resto: seguiteci con attenzione, ne vale davvero la pena.
Dobbiamo innanzitutto sapere che, nel 1983, Giovanni Paolo II, che già allora aveva per “braccio destro” il card. Ratzinger, scompose l’incarico papale in due enti giuridici: il munus petrino, il titolo di papa, concesso direttamente da Dio, e il ministerium, ovvero l’esercizio pratico del potere.
Facendo un esempio: immaginiamo un conte, dotato di un feudo. Il munus è il titolo di conte, che gli ha concesso il Re; il ministerium è la facoltà di amministrare le sue terre.
Ora, ammettiamo che il conte divenga molto anziano e voglia lasciare tutto. Non può dire: “Siccome l’essere conte mi è diventato faticoso, rinuncio ad amministrare le mie terre in modo che, così, non sarò più conte”.
Questa rinuncia, infatti, non lo fa decadere dal titolo nobiliare. Infatti, egli potrebbe benissimo nominare un amministratore per le terre e restare conte, legittimo titolare del feudo. Se vuole decadere davvero, deve scrivere al Re e dirgli: “Rinuncio al titolo che mi hai dato”. Di converso, un amministratore che prende in carico le terre del conte non ne assume il titolo nobiliare. Ci siamo? Tutto chiaro?
E infatti, questo è esattamente quello che ha fatto papa Benedetto nella sua Declaratio, che vi riportiamo in fondo in latino e in italiano. Egli sostanzialmente ha detto: “Siccome non ho più le forze per esercitare il munus petrino, (il titolo) dichiaro di rinunciare… al MINISTERIUM (l’esercizio pratico del potere)”.
Ora, il Codice di Diritto Canonico, alla cui autorità è sottoposto anche il papa, parla chiaro: per abdicare, il papa deve rinunciare al munus petrino, al titolo.
Art. 332 § 2: “Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti” – “Si contingat ut Romanus Pontifex MUNERI suo renuntiet, ad validitatem requiritur ut renuntiatio libere fiat et rite manifestetur”.
Ergo, la rinuncia al solo ministerium, che, come spiegato dal teologo Carlo Maria Pace, resterà solo annunciata e non sarà mai confermata dopo le ore 20.00 del 28 febbraio2013, non fa decadere il papa dal soglio.
Inoltre, confermano il giurista Antonio Sànchez e l’avvocato canonista Francesco Patruno, la rinuncia deve essere simultanea, visto che, per la Chiesa, è Dio stesso che concede o ritira il titolo papale. (A Domineddio non è che gli si può dare un incarico a scadenza, come se fosse un maggiordomo). E invece papa Ratzinger ha differito la sua presunta rinuncia e per giunta non l’hai confermata dopo l’”ora X”.
Insomma, tutto quello che Benedetto XVI poteva fare per rendere invalida una rinuncia al papato, lo ha fatto.
A questo si aggiunga il fatto che il papato emerito, il ruolo in cui Benedetto sarebbe transitato, NON ESISTE: lo dicevano già da anni famosi canonisti come Fantappié, Boni, Margiotta-Broglio e lo storico de Mattei, ma adesso lo ha confermato lo stesso Vaticano dato che Bergoglio sta cercando – adesso, dopo otto anni – di creare una giurisprudenza per questo istituto. QUI
E nessuno si è chiesto cosa sarebbe stato Benedetto XVI fino ad oggi. Abbastanza ridicolo, non trovate?
Ora, della questione munus/ministerium si dibatte giornalisticamente fin dal 2014. Su questa scia, nel marzo scorso è uscito il primo volume giuridico dell’avvocatessa colombiana Estefania Acosta “Benedetto XVI: papa emerito?”, presto confermato dal giurista dell’Università di Siviglia prof. Antonio Sànchez. Entrambi hanno dimostrato come la Declaratio NON E’ UNA RINUNCIA utilizzando proprio le pubbliche argomentazioni di due famosi canonisti pro-Bergoglio, il vescovo Mons. Giuseppe Sciacca (Segretario della Segnatura Apostolica e Revisore Generale della Camera Apostolica) e la Prof. Geraldina Boni dell’Università di Bologna i quali, pur sollecitati a replicare, varie volte, in via pubblica e privata, non hanno mai risposto. (Preparatevi: sarà un classico).
Prima di lasciarvi alla definitiva spiegazione canonica, è estremamente grave e significativo notare come il Vaticano, nelle traduzioni in italiano e altre lingue dal latino, abbia completamente abolito quella fondamentale dicotomia giuridica tra munus e ministerium, traducendo entrambi con la parola “ministero”. Confrontate pure sul sito vaticano QUI
Una evidente MANIPOLAZIONE per trasformare, in un atto di rinuncia con valenza giuridica, una semplice dichiarazione del Papa che annunciava – in modo sincero e veritiero – BEN ALTRO, come vedremo più avanti. NON CERTO L’ABDICAZIONE.
La questione non è da poco, perché se Benedetto XVI non ha mai abdicato, il conclave del 2013 era illegittimo e quindi Francesco è un antipapa. I successori di Bergoglio, nominati da un collegio cardinalizio in cui figurano circa 80 cardinali invalidi nominati dall’antipapa, SARANNO TUTTI ANTIPAPI e la Chiesa canonica, per come la conosciamo, sarà finita per sempre. Più avanti vi mostreremo come papa Ratzinger, “candido come una colomba e prudente come un serpente”, in obbedienza al precetto evangelico, abbia però predisposto tutto secondo un piano preciso e geniale, dichiarando semplicemente una verità che ALTRI hanno falsificato e travisato. Un “PIANO B che sta funzionando.
Di seguito la dimostrazione canonica dell’invalidità della Declaratio intesa come rinuncia al papato.
- IL “PAPA EMERITO” NON ESISTE
“Ho letto – spiega il prof. Sànchez – un’intervista rilasciata ad Andrea Tornielli da Mons. Giuseppe Sciacca QUI
Innanzitutto, lo stesso Monsignor Sciacca, ammette che l’istituto del “papa emerito” non esiste: «E’ un esercizio non individuato mai definito in alcun documento dottrinale», e ancora: «(L’emeritato) non può essere riferito all’ufficio del Pontefice». Su questo sono tutti d’accordo, anche i canonisti Boni, Fantappié, Margiotta-Broglio, lo storico de Mattei e altri”.
2) IL “PAPATO ALLARGATO” NON ESISTE E IL PAPA PUO’ ESSERE SOLO UNO
“Ammette poi Mons. Sciacca – prosegue Sànchez – che non c’è nemmeno un “papato allargato” dove Benedetto XVI potrebbe mantenere il munus e Francesco il ministerium. Solo UNO può essere papa, mai due contemporaneamente: è vero ed è conforme al diritto canonico e alla tradizione. Non ci sono, quindi, due papi: uno attivo e l’altro passivo, non esiste un “papato allargato”, a due teste”.
Infatti, aggiungiamo noi, anche papa Benedetto XVI ripete da otto anni che IL PAPA È SOLO UNO (senza però mai spiegare quale dei due) come ammette il suo segretario, Mons. Gaenswein QUI .
3) IL PAPA NON PUO’ SEPARARE MUNUS E MINISTERIUM
“Eppure – commenta Sànchez – la conclusione che il vescovo Sciacca ne trae è che il papa sia, quindi, soltanto Jorge Mario Bergoglio, eletto papa nel conclave del 13 marzo 2013.
Questo è un ERRORE drammatico: affinché un pontefice sia eletto validamente, il papa precedente deve essere MORTO o aver ABDICATO validamente. E Benedetto non ha abdicato ESATTAMENTE per quanto dichiarato da Mons. Sciacca a Tornielli, ovvero che (per il papa) il munus e il ministerium sono inseparabili: «Il fatto che il Codice di diritto canonico, al canone 332, parli di munus petrinum – scrive Mons. Sciacca – non può in alcun modo essere interpretato come una volontà del legislatore di introdurre, in materia di diritto divino, una distinzione tra munus e ministerium petrino. Distinzione che peraltro è impossibile».
4) BENEDETTO HA INVECE SEPARATO E DISTINTO MUNUS E MINISTERIUM
“Monsignor Sciacca ha ragione – prosegue Sànchez – quando dice che il papato non può essere diviso in munus e ministerium. Una sola persona può mantenere entrambi in una volta: il papa.
E allora, come è possibile che Ratzinger li abbia invece distinti e separati, rinunciando al ministerium e non al munus?
Pertanto, la rinuncia di Benedetto XVI a una presunta parte del papato (il ministerium) e non dell’intero ufficio papale (il munus) NON È VALIDA perché la “Declaratio” della rinuncia commette un errore sostanziale, in quanto influisce sulla condizione “sine qua non” anteriore all’elezione papale: la costituzione di sede vacante. Lo dice il canone 126: «L’atto posto per ignoranza o per errore, che verta intorno a ciò che ne costituisce la sostanza, o che ricada nella condizione sine qua non, è nullo».
IN SINTESI: la rinuncia era invalida a causa di un errore sostanziale (separazione munus/ministerium) che non poteva produrre una sede vacante e quindi, di conseguenza, il conclave del 2013 non poteva avere luogo e pertanto l´elezione di Jorge Mario Bergoglio è nulla.
5) MUNUS E MINISTERIUM SAREBBERO, DUNQUE, SINONIMI?
L’unica “scappatoia” che resta è che questo uso disinvolto di munus e ministerium da parte di Benedetto risponda a una questione puramente linguistica. Ovvero, Ratzinger avrebbe citato questi due enti “per non ripetere la stessa parola”, per un vezzo letterario, nonostante la catastrofe giuridica che avrebbe comportato. Ricordiamo che lui stesso spiega nel libro-intervista “Ein Leben” (2020), che il suo testo fu scritto in due settimane e passò al vaglio della Segreteria di Stato affinché fossero corretti errori giuridici e formali, ma SOTTO IL SIGILLO DEL SEGRETO PONTIFICIO: leggete QUI .
Tuttavia, ammettiamo pure che munus e ministerium possano essere sinonimi e che quindi uno possa valere l’altro. Vediamo se è vero.
6) BONI SPIEGA CHE NON SONO SINONIMI IN SENSO GIURIDICO
“La prof. Geraldina Boni – spiega l’avvocatessa Estefania Acosta – sostiene, infatti, nel suo libro “Sopra una rinuncia” (2015), che a volte munus e ministerium sono stati indicati come sinonimi, per esempio nell’esortazione “Pastor Gregis” di Giovanni Paolo II del 2003.
Tuttavia, ammette lei stessa, questa sinonimia si verifica SOLO IN SENSO NON-GIURIDICO, cioè quando la parola munus è intesa nel senso di “funzione”, “compito”, “servizio” o “attività”, legata a una certa (indelebile) “qualificazione ontologica” determinata dal sacramento dell’Ordine. Invece, come ammette la stessa Boni (pp. 180-181), c’è un SECONDO SIGNIFICATO ATTRIBUIBILE ALLA PAROLA MUNUS, un significato non più ontologico o sacramentale ma piuttosto “GIURIDICO“, equivalente a “carica” e “pressoché equipollente a officium“, che risulta dal canone 145 del Codice di Diritto Canonico, che indica come ogni munus (o “carica”) stabilmente istituito per uno scopo spirituale dalla legge divina o ecclesiastica sia anche un “ufficio ecclesiastico” – naturalmente, il munus petrino, essendo stato stabilmente istituito per uno scopo spirituale dalla legge divina (Mt 16,18-19 e Gv 21,15-17), è anche un ufficio ecclesiastico.
Stando così le cose, si vede che, anche per Boni, QUESTO SECONDO SIGNIFICATO DELLA PAROLA MUNUS ROMPE OGNI POSSIBILE SINONIMIA CON LA PAROLA MINISTERIUM. Finora, niente da obiettare al professore”.
7) DUNQUE, PERCHE’ BONI DIFENDE LA LEGITTIMITA’ DI BERGOGLIO? L’ERRORE FINALE
“L’errore (grossolano) di Boni – prosegue Acosta – sta nell’affermare gratuitamente ed erroneamente che Benedetto XVI ha rinunciato al MUNUS proprio nel secondo significato giuridico, mentre il testo della Declaratio non afferma mai una cosa del genere. Scrive infatti la Prof. Boni: «Insomma, alla luce di QUESTA DUPLICE ACCEZIONE DI MUNUS, Ratzinger, con la sua Declaratio, potrebbe avere voluto solo rammentare, e non già ben’inteso determinare, come, DEPONENDO IL MUNUS QUALE UFFICIO, egli non si spogliasse del munus sacramentale (quello non giuridico n.d.r.): ciò che d’altronde non sarebbe in alcun modo rientrato nella sua facoltà di disposizione, a riprova che quello del pontefice non è un potere assolutistico o totalitario , fluendo anzitutto entro gli argini delimitati dallo ius divinum».
E INVECE IL PAPA SI È PROPRIO ACCURATAMENTE ASTENUTO DAL RINUNCIARE AL MUNUS PETRINUM, rinunciando invece al MINISTERIUM: «…declaro me MINISTERIO Episcopi Romae … commisso renuntiare»!
[Inoltre, Boni suggerisce che con la Declaratio, Papa Benedetto ha voluto sottolineare che non si è staccato dal munus sacramentale (cioè episcopale, non giuridico), e aggiunge il fatto ovvio che questo munus è indisponibile e irrinunciabile, anche per il Papa. Tuttavia, notiamo che nell’udienza generale del 27 febbraio 2013, Sua Santità Benedetto XVI afferma che è stato proprio il 19 aprile 2005, accettando la sua elezione all’ufficio di Romano Pontefice, che si è impegnato “sempre e per sempre per il Signore”. Come possiamo comprendere una tale frase del Papa, che suggerisce una indelebilità del pontificato, nonostante non costituisca un sacramento e quindi manchi di un carattere “ontologico” indelebile? Si noti che il Papa collega il suo impegno definitivo o “per sempre”, non con la sua ordinazione episcopale (cioè, non con il suo munus sacramentale), ma con la sua assunzione del primato. Questa affermazione da sola demolisce l’affermazione di Boni che l’unica cosa che Benedetto XVI ha conservato “per sempre” dopo la Dichiarazione è il munus episcopale, non il munus petrino. Così, la frase in questione può essere compresa solo se si assume, come crediamo di aver dimostrato, che LA DECLARATIO NON CONTIENE ALTRO CHE UNA INESISTENTE O INVALIDA RINUNCIA AL MUNUS PETRINUM]”.
IN SINTESI: la prof. Boni ammette che munus e ministerium non sono affatto sinonimi in senso giuridico. Ammette che Ratzinger cita il munus in senso giuridico. Boni dice che Ratzinger ha rinunciato al munus giuridico, mantenendo il munus non giuridico, E NON E’ VERO perché egli ha rinunciato al ministerium.
8) RATZINGER NON HA MAI ABDICATO. RIEPILOGANDO:
proprio dagli studi di Scaccia e Boni, “legittimisti” di Bergoglio, abbiamo dunque che:
1) non esistono due papi, né il “papato allargato”
2) il papa è uno solo,
3) il papa emerito non esiste,
4) munus e ministerium non sono sinonimi in senso giuridico.
5) Ratzinger ha usato munus in senso giuridico, senza mai aver rinunciato a questo
6) ha separato i due enti che però sono indivisibili nel caso del Papa,
7) ha rinunciato pure all’ente sbagliato, cioè il ministerium.
Come si è visto, papa Ratzinger, tutto quello che poteva fare, per rendere invalida una rinuncia, lo ha fatto, per giunta corredandolo di due gravi errori di latino nonostante sia un eccellente latinista, probabilmente per tenere desta l’attenzione sul documento QUI
“Si può anche aggiungere – commenta Sànchez – la sottomissione a condizione risolutoria temporale di un atto come la rinuncia che, di per sé, è di diritto divino”, ovvero la rinuncia differita da Ratzinger al 28 febbraio 2013 e mai confermata dopo le ore 20.00 di cui hanno parlato il teologo Carlo Maria Pace e il giurista Francesco Patruno QUI e QUI che ancora una volta, secondo gli autori rende invalida la rinuncia.
Tutto questo, papa Ratzinger potrebbe averlo fatto in modo del tutto consapevole secondo il PIANO B od anche inconsapevolmente, per una serie di particolarissime e fortuitissime coincidenze e distrazioni (magari “guidate” dallo Spirito Santo?), ma cambia poco.
9) L’”ULTIMA TRINCEA” CANONICA: “L’UNIVERSALIS ECCLESIAE ADHAESIO”
L’ultima obiezione dei bergogliani riguarda la dottrina della cosiddetta “Universalis Ecclesiae Adhaesio” secondo la quale, visto che nessun cardinale che ha partecipato al conclave del 2013 protesta o solleva dubbi sull’elezione di Francesco, la si intende data per buona e quindi valida.
“Tale dottrina – spiega il prof. Sànchez – non è mai stata intesa a salvare, sanare o considerare soddisfatta la “CONDITIO SINE QUA NON” senza la quale un provvedimento non potrebbe mai essere avviato. Nel caso del papato, questa condizione è che LA SEDE SIA VACANTE, ovvero che il papa regnante sia morto o abbia validamente abdicato. L’Universalis Ecclesiae Adhaesio potrebbe sanare a posteriori un errore o una lacuna del provvedimento canonico dell’elezione del Papa, una volta cominciato, ma mai la condizione precedente per l’avvio di quel provvedimento”. Qui i dettagli:
10) IN SINTESI: ,
Acosta e Sànchez dicono che il conclave di cui parla la Universalis Ecclesiase Adhesio DOVEVA ESSERE UN CONCLAVE LEGITTIMO, cioè fatto a papa morto o abdicatario. Ma siccome Benedetto non ha abdicato, il conclave del 2013 non è mai esistito.
Il papa emerito è il solo PAPA esistente, il papa è uno ed è solo Benedetto XVI. Ergo, FRANCESCO È UN ANTIPAPA.
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Declaratio dell’11 febbraio 2013 – versione originale in latino
Fratres carissimi
Non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vita communicem. Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad MUNUS PETRINUM aeque administrandum.
Bene conscius sum hoc MUNUS secundum suam essentiam spiritualem non solum agendo et loquendo exsequi debere, sed non minus patiendo et orando. Attamen in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium etiam vigor quidam corporis et animae necessarius est, qui ultimis mensibus in me modo tali minuitur, ut incapacitatem meam ad MINISTERIUM mihi commissum bene administrandum agnoscere debeam. Quapropter bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me MINISTERIO Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse.
Fratres carissimi, ex toto corde gratias ago vobis pro omni amore et labore, quo mecum pondus ministerii mei portastis et veniam peto pro omnibus defectibus meis. Nunc autem Sanctam Dei Ecclesiam curae Summi eius Pastoris, Domini nostri Iesu Christi confidimus sanctamque eius Matrem Mariam imploramus, ut patribus Cardinalibus in eligendo novo Summo Pontifice materna sua bonitate assistat. Quod ad me attinet etiam in futuro vita orationi dedicata Sanctae Ecclesiae Dei toto ex corde servire velim.
Ex Aedibus Vaticanis, die 10 mensis februarii MMXIII
BENEDICTUS PP. XVI
Versione ufficiale in italiano
Carissimi Fratelli,
vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il MINISTERO petrino. Sono ben consapevole che questo MINISTERO, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando. Tuttavia, nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il MINISTERO a me affidato. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al MINISTERO di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice.
Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna i Padri Cardinali nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio.
Dal Vaticano, 10 febbraio 2013
BENEDICTUS PP XVI