Vaccini e farmaci con cellule di bambino ucciso
Il professor Paul Offit è uno dei maggiori esperti di vaccini a livello mondiale, nonché uno degli inventori del vaccino rotavirus, è stato direttore della Divisione di Malattie Infettive, direttore del Centro educazione vaccinale di Philadelphia ed è stato anche per molto tempo consulente del CDC (Center for Desease Control and Prevention) americano per le pratiche vaccinali. Alla domanda se si usano cellule fetali per produrre i vaccini la sua risposta è sì. In un’intervista dichiara che negli anni’60 vi furono due aborti volontari praticati uno in Svezia ed uno in Inghilterra. Le cellule ricavate da questi feti abortiti sono state utilizzate per produrre diversi vaccini: il vaccino contro l’epatite A, quello contro la varicella, il vaccino contro la rosolia, un vaccino contro la rabbia. Sono linee cellulari derivanti da quelle ottenute negli anni ’60 quindi non sono stati praticati altri aborti terapeutici per produrre vaccini, ma la risposta alla domanda se nei vaccini esiste una piccolissima quantità di tracce di DNA, derivante da quelle cellule fetali, è affermativa. Dunque il DNA fetale è presente in molti vaccini, anche nei vaccini Covid ad Adenovirus usati in Occidente, ad esempio quelli prodotti dalle case farmaceutiche AstraZeneca e Johnson & Johnson. Paul Offit, nel gennaio del 2021 spiega che ci sono due vaccini in uso in quel momento negli Stati Uniti: uno Pfizer e l’altro Moderna, entrambi ad RNA messaggero, nessuno dei due derivato da cellule fetali, ma stanno per arrivare un vaccino prodotto da Johnson e Johnson e l’altro da AstraZeneca in collaborazione con l’Università di Oxford ottenuti coltivando i virus su cellule fetali. Si tratta di una linea cellulare fetale ottenuta nel 1972 e l’altra linea cellulare fetale ottenuta negli anni ’80. Quindi è vero che cellule fetali sono state usate per creare sia il vaccino Johnson e Johnson che quello di AstraZeneca.
Greg G. Wolff, epidemiologo che si occupa del settore di sorveglianza della salute delle forze armate, in uno studio pubblicato sulla rivista “Vaccine” Vaccinazione influenzale e interferenza con virus respiratori fra il personale del Dipartimento della Difesa durante la stagione influenzale 2017 -2018 indica che sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale può aumentare il rischio di contrarre altri virus respiratori a causa di un fenomeno conosciuto come” interferenza virale”. I dati riportati nell’articolo mostrano che chi si è vaccinato contro l’influenza ha un rischio di contrarre il Coronavirus aumentato del 36%.
La dottoressa Pamela Acker spiega come Pfizer e Moderna siano invece stati testati su questo tipo di cellule nel suo libro Vaccination: a cattolic prospective