La scuola che accoglie.
Nel mese di novembre e dicembre il virus covid 19, al pieno della sua sinistra potenza, stava già circolando in Italia. A gennaio e febbraio ormai la sua presenza si stava imponendo. Le scuole hanno funzionato normalmente e non è successo nulla. Ora, con il covid che ha perso potenza e le terapie che l’hanno acquistata, al punto che la mortalità è ridotta a poche unità al giorno, un ministero dell’istruzione ha istituito regole che possono fare disastri non solo sulla psiche, ma anche sul fisico dei ragazzi. L’impressione è che si tratti di decisioni prese da persone sicuramente di buone intenzioni, vissute tutta la vita su una qualche sperduta e deserta isola delle Filippine o della Micronesia, che non hanno mai visto una scuola in vita loro.
Qualcuno è molto perplesso.
Il movimento “La Scuola Che Accoglie” (www.lascuolacheaccoglie.org), nato nel 2017 e composto da professionisti della scuola e genitori, nel mese di maggio 2020 ha formulato un Manifesto per la Scuola, sottoscritto da numerosi gruppi, associazioni e comitati, con cui chiede a gran voce di non dimenticare la normalità alla quale tutti dobbiamo aspirare a tornare.
Sono già alcune migliaia gli educatori, insegnanti e cittadini che si sono riuniti nel movimento, che si inserisce in un quadro di grande fermento di gruppi e associazioni che si stanno mobilitando sul fronte della didattica e delle problematiche deflagrate con l’allarme Covid.
Anna Gruppioni e Matteo De Angelis, referenti nazionali del movimento, propongono ai cittadini di indossare fin dal primo giorno di scuola una maglietta con la stampa del manifesto, per ricordare a tutti che la vera scuola è senza distanziamento, mentre la scuola che comincerà a settembre non è reale e non rappresenta una nuova normalità.
La Scuola Che Accoglie, in sinergia con alcune associazioni di medici (AMPAS – Medicina di Segnale) e avvocati (ComiCost), ritiene che le nuove norme dettate dal Ministero dell’Istruzione – ovvero il distanziamento e le mascherine a scuola – in realtà danneggino i bambini e i ragazzi, producendo in loro gravi ripercussioni a lungo termine di carattere socio-relazionale e psicologico. I minori non devono aver paura di vivere né devono perdere il diritto alla speranza. La paura che regna incontrastata nasce da un senso di colpa perché ci viene continuamente detto che danneggiamo gli altri se non indossiamo le mascherine e se non rimaniamo distanti. Ma l’obiezione di coscienza degli insegnanti aderenti a SCA si basa analogamente sulla volontà di tutelare gli studenti da danni psicologici gravi, numericamente maggiori perché rischiano di estendersi a tutta la popolazione scolastica, bambini compresi. La mascherina può diventare un’incubatrice di microorganismi, favorendo faringiti e sinusiti. Il distanziamento tra bambini è impossibile, e si colpevolizzano e criminalizzano comportamenti normali
Quello che si è perso è l’ovvio e come giustamente scriveva George Orwell bisogna combattere per l’ovvio, perché quando l’ovvio è attaccato, ogni diritto è perso. La referente per il Friuli Venezia Giulia Daniela Reina spiega l’ovvio, spiega che una volta abituati gli studenti che dell’altro bisogna avere paura e che bisogna guardarlo con diffidenza e sospetto, comunicando con lui/lei attraverso una mascherina, una visiera in policarbonato, con i guanti per non toccarlo,….ebbene, se accetteremo tutto questo, accetteremo un mondo senza emozioni, in cui prevale il grigiore dei sentimenti, un mondo in bianco e nero che separa, divide e classifica. Si crea l’ipocondriaco ideale, che vivrà nella sua stanzetta, vivendo di serie televisive. Una spettacolare distopia che diventa realtà. Un popolo che per timore di un rischio di morte sempre più piccolo sta distruggendo il diritto all’istruzione dei suoi figli, sta distruggendo il diritto a non respirare liberamente, a non avere un sistema immunitario forte, (il distanziamento sociale e l’isolamento lo indeboliscono), a giocare a biglie oppure a acchiapparsi, il diritto a un abbraccio o, Dio non voglia, un bacetto senza sentirsi criminali. In realtà stiamo distruggendo il diritto alla vita.
La scuola è palestra di vita, spiega ancora la dottoressa Reina, in cui si allena a relazionarsi con l’altro, in cui si impara grazie all’altro. Stiamo perdendo secoli di pedagogia. Come giustamente argomentava Maria Montessori, la scuola ha la finalità di e-ducare (portare fuori, l’ars maieutica di Socrate) il potenziale di cui ciascun individuo dispone, aiutandolo ad esprimersi al meglio in tutte le espressioni della vita e lungo tutto il suo percorso. E per far ciò l’ambiente scolastico doveva essere opportunamente “preparato” per essere “liberante e costruttivo”. Cosa ci sarà a settembre nelle nostre scuole di liberante e costruttivo, se gli studenti troveranno rigorose segnaletiche da seguire per raggiungere l’aula e per stare in aula, ognuno fermo al proprio posto? Dove, alla scuola dell’infanzia, saranno annullate le attività di intersezione per non mescolare i gruppi? Oppure in palestra, dove saranno da privilegiare le attività individuali? Lo spazio scolastico dovrebbe essere polifunzionale, nel senso che l’organizzazione dello spazio deve consentire lo svolgersi di più attività, individuali o di gruppo, di relazione, manuali o intellettive. E l’insegnante è investito di una delicatissima e fondamentale funzione: quella di “organizzatore ed osservatore della vita psichica e culturale” del bambino e dell’adolescente. Da “e-ducatore”, e non semplice istruttore, egli propone, predispone, osserva, stimola, orienta. Di certo, non rientra nei suoi compiti quello del controllore, del gendarme. Essere insegnanti è una missione di vita ed in questa missione sta la sacralità e l‘importanza del ruolo dell’insegnante, affinché le nuove generazioni abbiano ancora voglia di sognare il proprio futuro, realizzare i desideri e sviluppare i propri talenti.
La nazione siamo noi, il popolo siamo noi, la scuola siamo noi.
Tutto quello che sta succedendo avrebbe sicuramente senso se avessimo di fronte l’ebola. Abbiamo di fronte un coronavirus ingengnerizzato che ormai ha perso aggressività e virulenza, abbiamo di fronte una malattia che ha ucciso perché mal curata, ma che non uccide se curata correttamente, abbiamo il plasma iperimmune che guarisce, quindi la soluzione è curare la malattia, non uccidere una nazione per evitarla.
Tutti noi abbiamo il dovere di difendere la nazione, tutti noi abbiamo il dovere di difendere la suola, un posto dove non sia obbligatorio imparare a essere fobici, dove non sia un crimine correre o dare una pacca sulla spalla.
Tutti noi dobbiamo batterci per l’ovvio.
Come ci ricordano Matteo De Angelis ed Anna Gruppioni, referenti nazionali della Scuola che Accoglie, l’Italia ha un patrimonio umanistico, pedagogico, sociale ereditato dai secoli passati di cui possiamo essere fieri e che non deve essere disperso in mascherine , plexigas e rotelle.