Libertà e giustizia.
La libertà non è possibile senza giustizia, la giustizia non è pensabile senza libertà. Dove anca una, manca l’altra.
La libertà non consiste nel fare quel che si vuole, questa è la prerogativa dell’infantilismo capriccioso, ma consiste nell’assumersi la responsabilità di quello che si sta facendo. La libertà cioè è fatta di doveri, di assunzione di responsabilità, la libertà è fatta di un diritto terribile, il diritto di assumersi la responsabilità e di pagarne il costo. La libertà di parola in primis, è una libertà per cui bisogna avere l’incredibile ma anche irrinunciabile coraggio di dire quello che si sta pensando, quello che si giudica vero, anche se questo ci porterà a essere perseguitati, anche se saremo odiati. Magari saremo odiai da persone che amavamo moltissimo, che amiamo moltissimo, e allora è proprio per questo amore che non dobbiamo mollare, perché dove non c’è libertà, non c’è verità, non c’è più neanche amore. Possono esserci pessima panna montata e infimo zucchero filato, fiocchetti rosa e cuoricini, scemate, love is love. Questa è paccottiglia. La libertà non può essere disgiunta dalla verità, e la verità non può essere disgiunta dal coraggio. Per le libertà occorre combattere ogni istante, basta un momento di distrazione perché si perda, si spampani, e una volta perso il territorio, per riconquistarlo, ci vanno lacrime e sangue, e non saranno effetti speciali. Noi abbiamo ceduto la nostra libertà alla buona educazione, alla delirante idea che non bisogna mai dire nulla che, anche se è vero, anzi proprio perché vero, potrebbe offendere qualcuno. L’offesa è un dolore inenarrabile per gli isterici. Per le persone normali non è divertente, ma è tutto sommato irrilevante. Se io so di essere nel giusto, che mi offendano è francamente irrilevante. L’offesa è intollerabile per le dittature e per i pensieri dittatoriali, che non reggerebbero a una frattura nel granito fasullo della loro propaganda.
Noi, mondo occidentale, abbiamo ottenuto la libertà, ce l’avevano conquistata i nostri antenati, e abbiamo rinunciato alla libertà in nome del cosiddetto politicamente corretto. Il politicamente corretto è diventato un bavaglio impressionante alla libertà umana paragonabile ai bagagli le dittature di media qualità. Violare il politicamente corretto, onestamente, non ti porta in cella con le gambe fracassate e le scariche elettriche sui genitali, come succedeva e come succede nelle dittature di alta qualità, ma ti porta a perdere il lavoro, all’impoverimento, all’isolamento sociale e a qualche piccolo tentativo di linciaggio in piazze particolarmente birichine, come appunto succede nelle dittature di qualità media.
Come diceva la buonanima di George Orwell, autore di 1984, la più micidiale distopia del secolo ventesimo, nell’ora dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario, assumersi la responsabilità, prendersi la libertà di dire la verità, è, cioè, un atto, l’unico, con la potenza e la potenzialità di destabilizzare la dittatura della menzogna. Il politicamente corretto è menzogna, e anche se sembra color pastello e pieno di zucchero filato, la menzogna porta sempre alle lacrime e al sangue. A furia di essere cortesi, di dire fesserie, tutte le religioni si equivalgono, abbiamo corti inglesi che applicano il diritto di famiglia secondo Sharia in Gran Bretagna, il terrorismo islamico nelle strade, ma è importante dire che sono tutti pazzerelli isolati, uomini travestiti da prostitute leggono fiabe ai bimbi negli asili. È un sistema micidiale per destabilizzare il giudizio, non fidarti del tuo giudizio, tu lo trovi ripugnante e vorresti fuggire, impara a fidarti del sistema. Se il sistema te l’ha messo davanti, è buono.
L’atto rivoluzionario di dire la verità è stato annientato da quella falsa rivoluzione che è stato il 1968. Il politicamente corretto, tutto sommato, è nato lì, in mezzo a quelle finte barricate, in mezzo a quei falsi combattenti da farsa che però hanno lasciato a terra morti veri, che sono rimasti defunti anche quando i loro assassini dichiarati ex terroristi, e nominati giornalisti o docenti. Il politicamente corretto è nato in mezzo a dei falsi rivoluzionari che hanno bloccato l’università e ottenuto il 18 politico perché non avevano vogli di superare correttamente gli esami.
Nel 1968 è nato l’indistinto come valore: tutti con i jeans così siamo tutti uguali, perché gli uomini sono tutti uguali, le religioni sono tutti uguali, i popoli sono tutti uguali, tutto intercambiabile dare un giudizio, avevano opinioni, anche avere un sesso ben definito, potrebbe offendere qualcuno e quindi deve essere vietato, a meno che tu non sia islamico o gay. Allora puoi serenamente scrivere che le donne sono essere inferiori oppure che l’eterosessualità è da essere inferiori. Se sei gay puoi dire che farti aprire la patta dei pantaloni da un bambino di quattro anni è una bela esperienze come Daniel Cohn Bendit, puoi dire che i bambini è giusto sedurli come Mario Mieli e ti intitoleranno un circolo finanziato dallo stato.
Il politicamene è la dittatura delle minoranze. L’essere indifferenziati ora è l’ultimo obbligo.
Ci è stata tolta anche la libertà di andare all’inferno. La bontà di cuore, la generosità di dissanguarsi per mantenere migranti al 90% maschi islamici in età militare dovrebbe essere un moto spontaneo dell’anima. La generosità, l’accoglienza, la bontà sono valori religiosi. Non possono essere valori civili. Nel momento in cui siano imposti dall’alto da uno Stato dannatamente buono che più buono non si può, questo Stato sta diventando una teocrazia. Sono disposto a combattere morire per il mio diritto di essere cattiva. Mi pare una libertà fondamentale soprattutto ora, che rischia di esserci il governo degli accoglienti, di quelli tanto buoni. A me sembra che quelli tanto buoni abbiano un odio profondo per i più deboli, i più poveri, per i più indifesi, per i cittadini delle periferie che hanno come unica possibilità la panchina dei giardinetti, e ora è molto facile che la panchina possa essere occupata da spacciatori nigeriani che spacciano eroina, oppure, se siamo fortunati, da spacciatori senegalesi che spacciano cannabis. La libertà di girare serenamente, magari anche di notte, se non proprio di notte almeno di sera, nelle nostre strade, noi femminucce ce la siamo giocata. In compenso abbiamo le quote rosa: gli elettori non hanno più la libertà di votare un maschio, una donna con meno voti passa davanti a un uomo con più voti. La volontà popolare è calpestata. La libertà, inclusa quella di andare all’inferno, mi arriva da Dio, e nessuno Stato me la può togliere. E dal punto di vista umano la libertà non è stato un dono. È stata conquistata. In parecchi sono finiti davanti a plotoni di esecuzione, in parecchi sono finiti impiccati. Qualcuno è salito sul rogo. E quelli non erano effetti speciali. Quindi queste libertà conquistate con lacrime sangue, vale la pena di difenderle con lacrime e sangue. Libertà, verità e giustizia sono i tre valori che si reggono l’uno sull’altro. Persa una, perse tutte. Vale la pena di combattere.
La libertà dell’uno finisce dove comincia la libertà dell’altro. Se noi gonfiamo la nostra libertà, così da danneggiare quell’altro, non facciamoci illusioni, il conto ci verrà presentato. Noi dobbiamo combattere quindi perché la libertà degli altri non invadere nostra ma anche perché la nostra non invada quelle degli altri. Gli uomini devono rinunciare alla loro libertà di andarsene da una donna che porta nel ventre un figlio loro, devono rinunciare alla libertà di non volerlo, alla libertà di non mantenerlo col proprio lavoro, anche un lavoro da schiavo: quel lavoro da schiavo sarà la loro libertà. Noi donne dobbiamo combattere per la libertà dei figli che abbiamo concepito di nascere, anche se quella gravidanza è l’ultima cosa che vorremmo, anche se quel figlio non lo vogliamo, anche se è stato concepito contro la nostra volontà. Perché la nostra libertà non può cozzare contro la libertà di un altro di restare vivo. Se a una donna è riconosciuto il diritto di far morire il bimbo che porta nel ventre, per salvare la sua libertà di vivere la sua vita, allora dev’essere altrettanto sacro il diritto di un uomo di far morire di fame suo bimbo semplicemente perché non desidera mantenerlo, perché non vuole rinunciare alla libertà di vivere la sua vita. Allora è sacro il diritto di far morire, o direttamente uccidere, gli anziani e i malati, i disabili, quelli poco prestanti. Noi genitori dobbiamo rinunciare alla libertà di amare qualcun altro, di spostare il nostro sguardo verso qualcuno che non sia l’altro genitore dei nostri figli, perché la nostra libertà non può cozzare contro il diritto inalienabile di nostro figlio di vivere a casa sua, con suo padre con sua madre. Il diritto di chi non è in grado di portare una gravidanza ad avere ugualmente u figlio massacra il diritto di un bimbo di vivere con la donna che lo ha portato, di cui sa già conoscere la voce quando nasce, che ha il latte, il cibo perfetto per lui. Nessun essere umano ha il diritto di suicidarsi. Ho fatto Pronto Soccorso per anni. I suicidi li portavano da noi. E da noi, quindi, arrivavano tutti coloro che il suicida si era lasciato dietro, madri disperate, coniugi disperati. A volte figli completamente annichiliti, erano stati loro a trovare il padre impiccato, la madre dissanguata nella vasca da bagno. Nessun genitore può fare questo al figlio. Quando noi diventiamo genitori, tra le libertà che perdiamo c’è quella che in realtà nessun essere umano ha mai avuto: quella di suicidarci.
La morte non può essere una libertà.
Non esiste un libertà di aborto, non esiste una libertà di suicidio, non esiste la libertà di uccidere.
La libertà è responsabilità, sacrificio, ferite, lacrime e sangue.
Qualcosa che per cui vale la pena morire.