Non coi miei soldi, Not with my money
Come diceva la buonanima di George Orwell, che era ateo, vale la pena di battersi per l’ovvio. Nel momento in cui abbiamo perso l’ovvio, abbiamo perso il reale, più graziosamente chiamato anche verità. Tutto diventa un baratro.
Christopher Hitchens (1949-2011), giornalista e scrittore, era ateo pure lui, un ateo Doc, duro e puro, La sua indiscussa laicità, una vita passata a insultare Madre Teresa, lo rendono un testimone attendibile quindi, non accusabile di essere un bigotto baciapile, o anche solo vagamente credente, posizioni che nel mondo attuale sono una squalifica totale. Hitchens affermava che il feto è vivo e che è umano. «Sono sempre stato persuaso del fatto che l’espressione “bambino non nato” sia una genuina descrizione della realtà materiale. Ovviamente il feto è vivo, quindi la disputazione se debba o meno essere considerato “una vita” è casuistica. Lo stesso si applica, da un punto di vista materialistico, alla questione se questa vita sia o no “umana”. Cos’altro potrebbe essere? […] Al fine di porre termine a una gravidanza, devi ridurre al silenzio un cuore che batte, spegnere un cervello che cresce e, al di là del metodo, rompere delle ossa e distruggere degli organi».
In effetti che un organismo in cui batte un cuoricino sia vivo è un’affermazione ovvia, e che un feto umano sia appunto umano, non sia né un cane, né un gatto né un canarino, è altrettanto ovvio.
Quindi l’aborto uccide un organismo umano. Questo è ovvio e reale, come il fatto che due più due fa quattro, non è un discorso religioso, ma semplicemente un discorso ovvio. Il suddetto organismo umano, che suona più morbido e meno impegnativo di creatura umana, ma il significato è lo stesso, sta dentro un’altra creatura umana, che lo nutre e lo protegge, che per comodità descrittiva potremmo chiamare la proprietaria dell’utero così il linguaggio resta deliziosamente neutro, e nessuno ci accusa di terrorismo psicologico. Se la proprietaria dell’utero non vuole la creatura umana che sta dentro il suo utero, dovrebbe avere il diritto di eliminare questa creatura, operazione che vuol dire ucciderla. Riconosciamo questo diritto, e ci limitiamo a pretendere la verità. La verità è che la proprietaria dell’utero che è suo e se lo gestisce lei, ha diritto uccide l’organismo umano, cioè la creatura umana, cioè il bambino non nato che è dentro all’utero, ma pretendiamo che siano usate le parole vere.
L’utero è suo quindi la donna non può che avere il diritto di vita e di morte sulla creatura umana contenuta nell’utero, ma non ci inventiamo il falso. Non ci inventiamo che la creatura umana non sia una creatura, non sia umana e non muoia. Quindi la proprietaria dell’utero di assuma la responsabilità della verità. In nome del mio diritto a non cambiare la mia vita , io ho la volontà di uccidere l’organismo umano che porto nell’utero, che, se nascesse, sarebbe il mio bambino.
Gli antichi romani erano gente pragmatica. Il padre aveva diritto di vita e di morte sul figlio. Lui lo manteneva, lui poteva ucciderlo se non aveva voglia di mantenerlo. I Romani però non disumanizzavano il figlio. Non si inventavano che il figlio non era una creatura umana. Riconoscevano che era una creatura umana e che il padre aveva il diritto di assassinarlo senza ricevere punizioni. Questo assassinio non era né raccomandato né stimato. Chi lo commetteva non veniva punito, ma usciva dalla società civile.
Oggi sui giornali femminili l’aborto viene venduto come un’opzione ovvia, anche carina e simpatica, una di quelle tappe della vita dove prima o poi bisogna passare, come il servizio militare ai tempi in cui si faceva. C’è un certo entusiasmo sui giornali femminili per l’aborto, quando Marina Abramovic dichiarò di averne fatti tre perché altrimenti la sua arte ne avrebbe risentito, molti giornali femminili hanno inneggiato alla libertà e all’autodeterminazione. Non è un caso che l’arte della signora Abramovic consista nel farsi torturare dal pubblico senza cambiare espressione.
Perché l’aborto è una follia, l’eclissi della ragione.
Noi abbiamo disumanizzato il feto, lo abbiamo ridotto a cosa. Il diritto di ucciderlo diventa una bella festa con bandierine colorate e girotondi. Il feto è descritto e sentito come un parassita, un corpo estraneo. In realtà è un figlio, e tutto il corpo della proprietaria dell’utero in realtà è il corpo della mamma lo accoglie: tutti i leucociti della mamma si fermano davanti al piccolino, anche se ha un patrimonio genetico diverso, tutto il corpo di mamma si modifica di ora in ora in armonia con le modifiche del piccolo, le mammelle crescono per poterlo nutrire, la mamma dorme moltissimo perché nel sonno si fabbrica l’ormone della crescita e il corpo del piccolino cresce meglio. Se l’io cosciente della donna pensa di non volere il figlio, il suo io inconscio , sempre, lo vuole con la potenza arcaica dei nostri corpi straordinari che hanno la arcaica magia di dare la vita, di proteggerla e di nutrirla e se il processo viene interrotto l’io inconscio si irrita, lui il bimbo lo voleva, si irrita e diventa una belva, e scatena una serie di disastri, depressione, ansia, malattie allergiche, scelte autodistruttive, un amaro in bocca, un’ombra di morte sempre presente, lieve, in sottofondo, come l’odore di un topolino morto rimasto a marcire nella dispensa.
Quindi torniamo alla verità: una donna non vuole in figlio, crede di volere interrompere la gravidanza, che invece il suo corpo vuole. Quel figlio morirà prima di nascere. Questa è una scelta. Il Sistema Sanitario Nazionale non paga le scelte, ma le cure obbligate. Curare un cancro non è una scelta. E non può causare rimpianto. L’aborto volontario è una scelta, può causare rimpianto, e porta alla morte di un organismo umano che ha un DNA unico e irripetibile.
Non con i miei soldi.
Se questo organismo viene soppresso con il mio denaro, io divento responsabile della morte della morte di un organismo umano unico e irripetibile, e del rimpianto della madre. Attenzione, qui arriva la parte divertente: se l’aborto viene finanziato con denaro pubblico, tutto il Sistema Sanitario viene sottoposto al rischio di denuncia per risarcimento. Sul consenso informato non c’è scritto: lei potrebbe rimpiangerlo. Dieci donne che fanno causa al servizio sanitario nazionale perché il loro bambino è finito tra le garze sporche, e sono milioni di euro che partono.
Non col mio denaro.
Ogni donna del suo utero faccia quello che vuole, incluso una scelta anti biologica che porta alla morte di un organismo umano unico e irripetibile, ma con il denaro suo, non col mio.
Questo è un articolo pro choice, la mia scelta di non finanziare un disastro biologico che potrebbe diventare un disastro civile ed economico per lo stato.
Not with my money. Non voglio il tuo bimbo sulla coscienza. Non voglio il tuo rimpianto sulla coscienza. È la mia maniera di amarti.
Anche un bimbo nato da uno stupro è un bimbo. Per metà figlio di un orco, per metà figlio della mamma, anche davanti a lui i linfociti si fermano, anche nella sua attesa le mammelle si gonfiano. Tutti noi, tutti, tutti coloro che stanno leggendo queste righe tutti, abbiamo la stessa storia, una storia dove sono passati greci, fenici, romani, barbari ( almeno una ventina di tipi e sottotipi), normanni, lanzichenecchi, saraceni, spagnoli, francesi, di nuovo saraceni, tedeschi, saraceni, di nuovo francesi, di nuovo tedeschi, marocchini. Nelle ascendenza di ognuno di noi c’è almeno uno stupro etnico, probabilmente ben più di uno, una madre stuprata che ha accettato di mettere al mondo il suo bambino. Lo stupro è una violenza atroce, un aborto anche: non collaboriamo ad aggiungere violenza a violenza. Lo stato non può finanziare l’eliminazione di DNA umano unico e irripetibile.
Non vogliamo finanziare la morte. Un cuoricino che si ferma è morte. È la nostra maniera di amarvi.