Chi pecora si fa, lupo se lo mangia.
Chi pecora si fa, il lupo se lo mangia. L’ingenuo e il vile sono sopraffatti dal prepotente
Le persone che tendono ad essere troppo arrendevoli finiscono per essere sopraffatte dalle prepotenze altrui, e non danneggiano solo sé stessi, perché la loro arrendevolezza è acqua e fertilizzante per la prepotenza, così che alla fine essa riuscirà a travolgere tutto e tutti. Il proverbio nasce da Seneca che nel testo “ad Helviam matrem”: scrive “Nemo ab alio contemnitur, nisi a se ante comtempus est” (Chi non stima se stesso non può essere stimato dagli altri). Dopo aver vietato di dire buon Natale, festeggiamo il Ramadan. Giulio Menotti racconta della resa dell’Europa in un poderoso tomo dal titolo “La dolce conquista”. È un lungo elenco di eventi senza senso, anzi con un senso preciso. Una civiltà forte come la nostra non poteva morire per assassinio, sta morendo per suicidio, un suicidio ridicolo basato su disprezzo del cristianesimo e quindi sull’odio di sè, cominciato con l’illuminismo, proseguito con il marxismo e i suoi due figlioletti gemelli eterozigoti, il comunismo sovietico e il nazismo tedesco, trionfa nel ’68 e ha il suo apogeo nella sottocultura woke. Il libro arriva come ultima puntata e riassunto di una lunga serie di dolorosi saggi tra cui “Evviva! Ci arrendiamo. La dolce resa dell’Europa di fronte all’Islam” scritto nel 2006 da Henryk M. Broder, i libri di Oriana Fallaci, L’identità infelice di Alain Finkielkraut, i libri di Magdi Cristiano Allam. Tra i primi ne ha parlato Renè Marchand, che ha affermato che in occasione del Ramadan, da noi, ‘Islam, totalitarismo guerriero, usa la nostra concezione di “religione” come cavallo di Troia per la conquista sovversiva dell’Europa. Dove ci sia un processo di immigrazione il peso dell’integrazione dovrebbe interamente sulle spalle del popolo migrante, che deve integrarsi senza violare le regole del popolo di accoglienza. Dove le regole di accoglienza siano diverse, è il popolo migrante che deve modificare le proprie. Le mie amiche andate in Iran a fare le archeologhe o le professoresse, ci sono state con la testa coperta, nessuna di loro ha mai fumato in pubblico ( arresto immediato) né si è fatta vedere mangiare in pubblico durante il ramadan.
Dove il peso di modificare le leggi sia sulle spalle del popolo di accoglienza siamo di fronte ad un processo di colonizzazione.
Ogni popolo ha diritto ad una terra dove si parli la sua lingua, dove la sua lingua e le sue tradizioni e la sua cultura non siano profanati, offesi, dove i suoi figli non siano disprezzati, altrimenti quel popolo si sta preparando a diventare un popolo senza terra. L’adattamento non è possibile per l’Islam. La presenza islamica in Europa non ha come scopo l’’integrazione, ma la libanizzazione prima dell’islamizzazione totale. Con il termine libanizzazione si intende una modificazione antropologica mediante immigrazione massiva, come quella che ha trasformato il Libano: mezzo secolo fa era una nazione a maggioranza cristiana, prospera e moderna, definita la Svizzera del Medio Oriente, ora è una nazione a maggioranza islamica. I segni come la scelta dei nomi di bambini d’immigrati venuti dal Maghreb, la moltiplicazione delle moschee o del velo per le donne, le aggressioni a cittadini ebrei, il vandalismo fino al rogo delle chiese, la richiesta (pretesa) di rispetto dei tempi di preghiera e delle festività islamiche nelle scuole e nei posti di lavoro, sono inequivocabili segni di una campagna d’islamizzazione del nostro continente. L’Europa conta sul proprio suolo, una comunità mussulmana di più di venti milioni d’individui, peraltro in costante crescita, sia per via interna, sia per apporto esterno: “immigrati” stanziali che rifiutano l’assimilazione pura e semplice ai popoli che li hanno accolti, e rivendicano sempre più diritti particolari. L’islam, definito solo come “religione”: una trappola mortale. Dicendo “l’islam è una religione” come una verità riconosciuta da tutti e che non merita commenti, di conseguenza, e in nome dei nostri valori democratici e laici, proibiamo a noi stessi di esaminare da vicino la sua natura, la sua ideologia, i suoi modi di espressione, i suoi mezzi e i suoi fini, e ci guardiamo bene dall’interferire nelle pratiche dei suoi fedeli, pratiche che non sono compatibili né con le nostre costituzioni né con la nostra vita. Un islam laico è impensabile perché contrario ai dogmi più sacri, inimmaginabile. Un Islam che accetti le leggi e i costumi di un paese non musulmano, “restituendo a Cesare, ciò che è di Cesare”, è altrettanto impossibile. O la laicità o l’islam. In tutta la sua storia non appena ne ha il potere, un’autorità fondata sull’islam ha sempre ridotto i non-musulmani allo stato di soggetti subordinati e ha loro proibito ogni propaganda della loro ideologia, perché questi sono gli ordini del Corano.
Se lasciamo che l’islam si accomodi confortevolmente sul nostro territorio, con la vana speranza di controllarlo, i nostri governanti non fanno posto a una religione della sfera privata tra tante, ma a un totalitarismo incompatibile con tutto ciò che fonda la nostra civiltà. L’islam nasce espansionista e guerriero e può solo essere espansionista e guerriero. L’islam, per nascita, geneticamente, in funzione dei suoi dogmi più sacri, impossibili da riformare, indiscutibili e mai messi in discussione, ingiunge ai suoi adepti il dovere di espansione. Tra i mezzi legittimi di tale espansione, figura la guerra (nel Corano, due sinonimi: jihad, qital), Ma anche sotto una forma sovversiva; l’islam ammette, anzi raccomanda, tutti i tipi di mezzi: furbizia, dissimulazione, menzogna (taqiyya, kitmân, makr…). Allah garantisce a colui che svolge questo compito, quest’obbligo, le più grandi ricompense: quando è in vita, il bottino e, se dovesse morire come “martire” nel “cammino di Allah”, il Paradiso (Corano).
Sin dalla nascita, nel VIIº secolo della nostra era, l’islam ha diviso il mondo in Casa dell’islam (dâr al-islâm) e Casa della guerra (dar el harb). Sul ruolo della guerra nella storia dell’islam, gli specialisti sono unanimi: in ogni epoca, essa fu il mezzo privilegiato della sua espansione.
Robert R. Reilly nel suo saggio La chiusura della mente musulmana spiega come ogni riforma sia impossibile, la dinamica involutiva si è instaurata nell’undicesimo secolo con la deellenizzazione dell’islam, e il rifiuto, anzi la proibizione, della filosofia. Avicenna e Averroè, ultimi filosofi islamici, sono stati dei dissidenti e non hanno potuto avere seguaci.
La libanizzazione cioè l’ islamizzazione soft dell’ Europa sta avvenendo mediante la squisita contrapposizione di acquiescenza e protervia, che in effetti sono due fenomeni che si armonizzano e combaciano. L’islamizzazione può avvenire con la guerra, con ferro fuoco e dolore, come è successo per l’Anatolia cristiana e Costantinopoli, attualmente Istanbul. In queste regioni il tasso dei cristiani era in origine il 100%della popolazione; è diventato il 30 %
I veterinari si dichiarano obiettori di coscienza per non assistere alla spaventosa violenza e crudeltà delle macellazioni islamiche, mentre aumentano i casi di bambini che hanno il divieto di ascoltare musica e quindi tengono le orecchie coperte dai tappi durante le lezioni di musica. Nell’Islam la musica è vietata. Molti mi obietteranno che nei quartieri islamici si ascolta sempre musica, ci sono anche cantanti islamici, che fanno parte di un nuovo fenomeno, l’Islam glamour, e che poi si fanno fotografare alla Mecca. Ci sono anche moltissimi islamici che bevono alcol e c’è un gran numero di cattolici che convivono senza essere sposati. In divieto di ascoltare musica esiste. Lo hanno fatto rispettare per esempio i talebani e le corti somale. Alcuni genitori più integralisti vietano ai loro figli di frequentare lezioni di musica. Allah verserà piombo fuso negli orecchi di coloro che hanno ascoltato musica. La musica è riservata al paradiso. Un caposaldo assoluto irrinunciabile della nostra religione, Re Davide danzava al suono del flauto, nelle nostre chiese c’è un organo, un caposaldo assoluto di tutta la nostra civiltà è la musica. Nessuna nostra cerimonia è concepibile senza musica.
Chi disprezza la musica, chi la considera impura, forse non lo abbiamo capito bene, disprezza noi.
Ogni popolo che per motivi di interesse, manodopera a basso costo, o di buonismo isterico, tollera sul proprio suolo una civiltà che disprezza la sua cultura, la sua religione i suoi figli considerandoli impuri è, per usare un termine della buonanima del principe De Curtis, in arte Totò, una società di fessacchiotti.
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