Non permettere al nemico di scegliere le armi e il campo di battaglia.
È una delle regole della guerra talmente ovvia da essere diventata praticamente un proverbio. Quando il nemico ti ha portato a combattere con le armi e il territorio da lui scelti, hai già perso la guerra. Questo regola è evidente anche in tempo di pace, o apparente tale. Noi perdiamo la guerra quando permettiamo al nemico di imporci le sue parole, perché così ci ha già imposto i suoi significati e i suoi valori. Chi è il nemico? Colui che non ci ama, non vuole il nostro bene. Permettere a chi non ci ama di imporci attraverso il linguaggio i suoi valori, che non sono i nostri, è un’operazione stupida. In un interessante libro dal brillante titolo Allegro non troppo l’economista Carlo Maria Cipolla spiega le eterne e immutabili leggi della stupidità umana dimostrando come in qualsiasi contesto umano la previsione del numero degli imbecilli sia sempre approssimata per difetto: ce ne sono cioè sempre molti di più di quanto sia preventivato. Il professor Cipolla era un economista e si è limitato alla costatazione statistica, non ha indagato le motivazioni del fenomeno, che sono spiegate dalle neuroscienze: il nostro cervello prende decisioni in base a motivazioni emotive e non motivazioni razionali. Il nemico quindi per i imporci i suoi valori, tra i quali c’è anche la distruzione nostra civiltà, deve usare linee emotive, vale a dire la colpa, la paura, la vergogna, il vittimismo, la protezione di deboli fragili o supposti tali. Le civiltà tecnologicamente avanzate non possono morire per assassinio, sono troppo forti. Possono morire solo per suicidio. La manipolazione delle parole serve a spingere ogni appartenente a una civiltà ad odiarla. Sulla parola è basata qualsiasi forma di ipnosi e di manipolazione Esiste una precisa tecnica comunicativa basata sull’attribuzione di significati preformati e immodificabili a determinate parole o immagini così da dirigere il pensiero e le emozioni delle masse, incoraggiarne determinati comportamenti e, praticamente, vietarne altri. In alcuni casi si sono usate parole esistenti, esasperandone o modificandone il significato, in altri casi invece si sono formate parole ex novo, create ad hoc, e questo è un gravissimo arbitrio perché la appartiene al popolo, la lingua appartiene a un popolo. Si forma da sola, esaltata nei poemi epici, arricchita nelle poesie, codificata poi nei testi di grammatica, rappresenta il pensiero di quel popolo, la sua etica, la sua realtà. Gli esperti in comunicazione usano la parola framing, incorniciare, per indicare questo tipo di manipolazione, la parola è “incorniciata” nel nuovo significato. Tutto questo possiamo chiamarlo neolingua. La parola è stata coniata da George Orwell. La troviamo nello straordinario e dolente libro 1984. Un potere mostruoso fatto di ferro e cemento conia un nuovo linguaggio, aggiornandolo in continuazione, altro elemento importante. Tutte le rivoluzioni coniano un nuovo linguaggio: lo hanno fatto la rivoluzione francese, quella sovietica, quella nazionalsocialista. Nuovi nomi per i mesi, nuovi nomi per le feste, nuova maniera di salutarsi e poche altre cose. Nel mondo immaginato da George Orwell la formazione della neolingua ha due pilastri: il primo è la riduzione delle parole. Dove non c’è la parola, non c’è il pensiero. Se ci sono poche parole i pensieri diventano automaticamente striminziti. Ogni volta che impariamo una parola nuova fabbrichiamo sinapsi nel nostro cervello. Maggiore è il numero di sinapsi maggiori la nostra capacità di risolvere problemi, maggiore la nostra intelligenza. Insegnare poche parole è quindi un sistema per rendere le persone con una capacità di pensiero limitata. Secondo pilastro l’impostazione di significati nuovi e addirittura di parole nuove. Per imporre la neolingua veniva usata la polizia, anzi la apposita psicopolizia, che spaccava le ossa ai renitenti. Il politicamente corretto è una dittatura fluida, fatta di melma, zucchero filato multicolore e panna montata inacidita. La lingua è stata enormemente impoverita, privata di sinonimi, congiuntivi, condizionali, consecutio temporis, forme di cortesia: radio, televisione, una scuola sempre più scema fanno in maniera che diventa ogni giorno più piccolo il numero di parole conosciute e sempre più scarno lo schema in cui sono usate, ridotto all’indicativo e alla frase corta del bambino piccolo. Anche l’editoria collabora in questo senso. Più di una volta mi è capitato che sinonimo da me scelto fosse sostituito da uno più banale per evitare al lettore la fatica di imparare una parola di più. Le parolacce hanno ulteriormente immiserito il linguaggio, perché evitano la fatica di trovare imprecazioni e insulti più adatti e variegati. A questo si aggiunge la creazione di nuove parole e una modificazione del significato di parole già esistenti, come obbligatorio in una neolingua. La psicopolizia ufficiale è sostituita dalla disapprovazione colllettiva, che però può essere mortale, portare alla morte sociale, alla perdita del lavoro, a un isolamento assoluto non compatibile con la sopravvivenza. È uscito per la casa editrice Fede e cultura un piccolo libro di Francesco Avanzini dall’asciutto titolo: Piccolo dizionario della neolingua. L’autore usa il termine neolingua, come descritta da Orwell in 1984 “La neolingua non era concepita per ampliare le capacità speculative, ma per ridurle e un simile scopo veniva indirettamente raggiunto riducendo al minimo le possibilità di scelta”. La neolingua è la base della manipolazione mentale. L’uomo contemporaneo è sempre solo, isolato, atomizzato. Il senso di appartenenza è basato su tre parole, Dio, patria, famiglia. Dio è dichiarato morto, la famiglia anche, la patria è una parole innominabile. L’uomo contemporaneo non condivide con altri la fede in Dio, né quella nel futuro e quindi nel senso della vita. Condivide solo slogan, ideologie e dogmi, che lo costringono a i dividere in mondo in “buoni” e “cattivi”, con una disperata necessità di sentirsi tra i ”buoni” . Chi non condivide il dogma è malvagio. Una massa di individui senza nessuna fede in comune ritrova un barlume di preziosa affiliazione al gruppo nell’odio per il reprobo. Il termine transfobia è uno degli esempi più tragici di neolingua, basato su alcuni dogmi assurdi, ascientifici, folli e crudeli. La maggioranza degli esperti in endocrinologia e in chirurgia sono assolutamente contrari all’idea di destabilizzare il corpo dal punto di vista ormonale e mutilare il corpo in una situazione dove quella da curare è la psiche. La parola transfobia condanna come folle o cattivo avere dei dubbi e invece stabilisce la mutilazione e la negazione della realtà come unica strada etica. Migliaia di ragazzi e ragazze hanno pagato con il proprio corpo l’incapacità, anzi il divieto, di curare la loro psiche nel momento in cui ne aveva bisogno. Con una decina di parole, gender, inclusivo/divisivo, islamofobia, negazionismo, omofobia, razzismo, resilienza, sessismo, sostenibile, xenofobia, Francesco Avanzini racconta il disastro ideologico della nostra epoca. Queste dieci parole varano un nuovo decalogo perché sostituisca quello delle tavole che Mosè ebbe in dono dal Signore e che stanno alla base di tutta la nostra civiltà cristiana e occidentale. Questo nuovo decalogo può distruggere la nostra civiltà cristiana occidentale. I dieci fonemi sono: Gender, i termini Inclusivo/divisivo, Islamofobia, Negazionismo, ovviamente Omofobia, Razzismo, Resilienza, Sessismo, Sostenibile, Xenofobia Se la penultima tappa della sottocultura woke, è stato il politicamente corretto, l’ultimo stadio è invece l’obbligo di menzogna nel terrore di poter portare offesa a qualcuno degli appartenenti delle ringhiose minoranze care al cuore delle élite. Gli altri possono essere calpestati con gli scarponi chiodati. Il libro ne parla con chiarezza e ironia. È un tempo in cui vediamo il divieto a usare alcune parole e l’obbligo a usarne altre, anche se questo vuol dire mentire. Si censurano le idee, si vieta la religione, si processa la storia. Siamo alla guerra alla realtà e alla ragione e quindi all’obbligo di menzogna, usare i pronomi sbagliati, fingere che le civiltà extra occidentali siano sempre buone e innocenti come i loro appartenenti. Le chiese bruciano, ma è autocombustione. Sacerdoti e sagrestani vengono sgozzati all’interno delle chiese, ma si tratta sempre di isolati pazzerelli. Si è arrivati alla proposta di abolire le parole Natale e Pasqua, in quanto non inclusive, come sono state abolite le parole padre e madre, uomo e donna.
Sono molto fiera di aver fatto io la prefazione di questo libro.