San Giuseppe
Dato che il 19 marzo cadeva in una domenica di quaresima, festeggiamo San Giuseppe oggi, 20 marzo
Contrariamente all’iconografia più diffusa, Giuseppe era probabilmente un uomo giovane, e molto forte. Duemila anni fa i falegnami partivano dalla materia prima, cioè abbattevano anche gli alberi, e portavano abitualmente con sé un’ascia, perché in qualsiasi momento potevano trovare l’albero o il ramo di cui avevano bisogno. Il falegname era un uomo armato. I più preziosi dei misteri una Donna bellissima e un Bambino bellissimo, sono quindi affidati a un uomo mite, ma non disarmato, che con la sua forza, la forza muscolare sommata all’ascia, allontana la tentazione di fare il male che una giovane donna molto bella può suscitare. Giuseppe quindi insieme a S. Michele Arcangelo e a San Giorgio fa parte della schiera dei Santi armati. La sua guerra è il sacrificio, sacrum facere, del suo amore per Maria, che non può esprimersi nelle forma in cui naturalmente si esprime l’amore di un uomo per una donna. Questo sacrificio è talmente enorme, che spesso viene reso più piccolo e credibile rappresentando Giuseppe come un uomo anziano, ma il mistero più prezioso non poteva essere affidato a un vecchio, e il Bambino aveva bisogno di un padre, non di un nonno. Giuseppe quindi è un guerriero. La sua guerra è proteggere, la sua guerra è resistere alla forza dell’istinto più ovvio così da ricordarci che noi possiamo essere più forti di qualsiasi passione. Per questo è il terrore dei demoni, Terror daémonum, e l’iconografia lo rappresenta con il simbolo della purezza, il giglio, che diventa la lancia con cui trafigge il drago. Ricordiamocelo la prossima volta in cui qualcosa ci sembrerà irresistibile. Giuseppe è il Santo della forza che resiste a qualsiasi tentazione. Ed è anche il simbolo della forza con cui l’uomo deve difendere la sua casa. Quando Cristo sale sul Golgota, San Giuseppe è già morto. Se fosse vivo, lo impedirebbe o morirebbe nel tentativo di impedirlo. Andrebbe con la sua ascia a proteggere il Figlio o morire per lui come compito di ogni padre. Per questo è necessario sia già morto al momento della Passione.
Il cristiano, come San Giuseppe, deve essere mite e armato. San Giuseppe era il patrono del lavoro, che doveva quindi essere onesto. L’onestà consisteva non solo nel non rubare ma nel lavorare bene. Il concetto di uno che vale uno è una fesseria. Chi sa lavorare e chi non sa lavorare non sono equivalenti. Fino agli anni 60 in tutte le botteghe c’era il quadretto di San Giuseppe. Per quanto povero fosse il lavoro svolto, c’era l’orgoglio di svolgerlo, di farlo al meglio. Con le macchine per le catene di montaggio, che producono oggetti sempre ottusamente identici, oltre alla fierezza del lavoro fatto bene è sparito anche il quadretto di San Giuseppe. Non solo rubare è una forma di corruzione. Lavorare male è una forma di corruzione. Occupare abusivamente un posto per cui non si ha la competenza, perché un comico ha dichiarato che uno vale uno, è una forma grave di corruzione. San Giuseppe era anche il patrono della dignità del lavoro, della onorabilità infinita di ogni attività lavorativa, inclusa la più umile, concetto che si è perso nel ’68.
San Giuseppe è anche il santo patrono della paternità, e nel ‘68 si è persa anche la paternità. La storia dell’umanità negli ultimi duemila anni è stato un confronto tra tre poteri. il papato, l’impero e il pater familias. Nessuno si permetteva di entrare nella casa del pater familias per spiegargli come doveva allevare i figli, cosa doveva dar loro da mangiare, quante vaccinazioni doveva far loro fare. Ora tutto il potere appartiene allo stato, che è diventato il leviatano. Fino al 1977 il 19 marzo era giustamente festa, la festa di San Giuseppe, la festa del lavoro, la festa della paternità, la festa del coraggio. Una società molto laica ha spostato la festa del lavoro al politicizzato e divisivo primo maggio, giorno di odio, e il giorno di San Giuseppe è diventato un giorno come un altro, un giorno in cui si va a scuola, e così è nata la festa del papà. Uno degli scopi era onestamente consumistico, con vendita di cravatte trovate più o meno orrende (con poche eccezioni, gli uomini preferiscono comprarsele da soli) e brandy di costo contenuto, ma c’era anche la possibilità di parlare della paternità, di parlarne a scuola, attraverso San Giuseppe, attraverso la storia, attraverso la letteratura, perché il senso di identità di un individuo, e quindi anche di un popolo, nasce nella paternità, nell’essere figlio di un uomo che è stato pronto a difendere la vita del figlio anche con un’ascia. C’era l’eccitazione di cose fatte di nascosto, la poesiola imparata a memoria, il lavoretto, così che ci fosse la sorpresa del papà che restava “assolutamente stupito”, mentre il bimbo gongolava. La guerra alla paternità passa anche dalla dirigente scolastica che abolisce la festa del papà nel timore di addolorare tutti i bambini che il papà non ce l’hanno, perché è morto, perché è scappato, perché mamma lo ha cacciato, perché non è mai esistito come uomo, ma solo come spermatozoi comprati su internet, nell’illusione che sia vero quello che c’è scritto sulle righe di marketing del tizio che si è venduto lo sperma: uomo alto, atletico, medico (astronauta, musicista, avventuriero), ha come interessi la cucina e la filosofia, ama gli animali e la fisica quantistica, come hobby cammina sulle acque. Per quei bambini la festa del papà non avrebbe causato dolore: il dolore lo ha già causato essere senza padre. Al contrario il dolore lo avrebbe diminuito, rendendolo finalmente raccontabile: è proprio per questi bambini che è fondamentale la festa del papà. Questi bambini hanno il cuore rinsecchito dal lutto non elaborato nell’ipocrisia di fingere sempre che vada tutto bene, per non destabilizzare mamma, e finalmente hanno un’occasione per uscire dal non detto. È fondamentale per i bambini che non conoscono il padre avere l’occasione di parlarne. Se sono in età di farlo, è fondamentale che possano scrivergli una lettera, una lettera con un vero indirizzo sulla busta all’uomo che non c’è più nella loro vita, oppure una lettera senza indirizzo al proprietario dello sperma che ha concepito il bambino, un concepimento squallido e tristissimo senza piacere, senza complicità, senza gioia. È fondamentale che abbiano il diritto di fare domande su di lui, di cercare di saperne il più possibile. In nome di san Giuseppe, ricreiamo il diritto dei bambini ad avere un padre, e dove questo padre non ci sia, riconosciamo al bambino il diritto di esprimere il suo dolore. Offrirà il lavoretto al nonno o a un altro uomo importante nella sua vita, e soprattutto sarà stato stabilito il suo diritto alla verità. Il male non se nesta per conto suo. Il male si espande e occupa tutto lo spazio disponibile: arriva il divieto alle parole padre e madre, arriva il divieto di festeggiare la festa del papà, e poi quella della mamma, perché i bambini “nati da due donne o da due uomini” come scrive qualcuno con grave sprezzo della biologia, della realtà e del ridicolo, possano essere custoditi nella menzogna e nell’ipocrisia, senza nessuna possibilità di verità nella loro vita. Per questo avvallare giuridicamente lo scempio del bambino con due madri o, peggio, con due padri, è un crimine contro il bambino. Il primo diritto di un bambino è la verità, che garantisce il diritto alla collera e al dolore, che deve poter esprimere, e la verità è che lui è nato da un padre e un madre. Leggi compiacenti all’estero su bambini nati con pratiche ripugnanti, così che un genitore in delirio di onnipotenza possa farli nascere già orfani dell’altro genitore, non devono essere avvallate dallo stato italiano, perché è un danno gravissimo per il bambino vivere nella menzogna e nell’idiozia di affermazioni ridicole, come essere nato da due uomini o da due donne. Il primo diritto del bambino è la verità, anche quando la verità è che sei figlio di un uomo che si è venduto lo sperma, di una madre che ti ha venduto, perché la menzogna è peggio. Le cosiddette famiglie arcobaleno sono al contrario rigidamente monocolori, con un’ incapacità totale all’apertura verso il diverso. Rinchiuso in queste famiglie, il bambino non può imparare il gioco tra i sessi, che è quello che regge il mondo e la vita. In caso di separazione il bambino non ha alcun interesse a essere affidato al compagno/a del genitore, con cui non ha parentele biologiche per restare rinchiuso in un mondo monosesso, e, a maggior ragione, in caso di morte del genitore, il suo migliore interesse è essere affidato a un parente di quest’ultimo, in una famiglia vera, costituita da un uomo e una donna, diversi e complementari.