La luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo.
Sono stata non credente per quasi mezzo secolo. Ho perso ogni tipo di fede a 11 anni. Non sopportavo il concetto del dolore innocente. È sufficiente un unico bambino in un reparto oncologico, un unico neonato che venga al mondo già fornito di una patologia irreversibile e dolorosa, che tutto il nostro concetto di giustizia del mondo vacilla. La peste di Camus è un tragico libro che parla dell’irrisolvibile dolore dell’uomo non credente. La peste è la metafora della malattia, della guerra, del genocidio, del terremoto, dell’inondazione. Nel libro il dolore non ha spiegazione e il male non ha redenzione. A Orano, città dell’Algeria francese senza alberi, né giardini, annegata nell’attivismo e nel commercio, l’unica traccia della natura scacciata sono i ratti che improvvisamente invadono la città per morire agli angoli delle strade dopo aver contagiato la peste. Come Bernard Rieux, il medico protagonista de La peste, anche io ho ritenuto che credere a un mondo che si era creato da solo per aggregazione casuale di atomi fosse meglio che accettare che l’esistenza di un Dio che permette il dolore. Come aveva giustamente osservato lo scrittore cattolico Gilbert Keith Chesterton, chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto. Lombroso credeva allo spiritismo, sia il comunismo sovietico sia il nazismo tedesco sono sempre stati sprofondati nell’esoterismo. La credenza che la vita in generale e il DNA in particolare si possano formare per aggregazione casuale di atomi è altrettanto irragionevole dei tarocchi e dell’oroscopo, anzi, per chiunque abbia un’idea sia pure approssimativa di biochimica, è anche più irrazionale. Eppure per quasi cinquant’anni, benché avessi studiato biochimica, una delle mie materie preferite, ho continuato a non vedere tutte le prove che spiegavano come la formazione accidentale della vita sia un concetto insensato. Finalmente la dissonanza cognitiva si è incrinata e mi sono resa conto della realtà: la vita è stata creata, e tutto l’universo è stato creato per poterla accogliere.
Mentre rileggevo i miei vecchi libri di biochimica sono inciampata dei documentari sulla Sindone, un grande telo, detto Sindone dal greco sindon, telo, lenzuolo, conservato a Torino dove è impressa l’immagine di un Uomo che è stato flagellato, coronato di spine e crocifisso. Da secoli ci si domanda se l’Uomo della Sindone possa essere Gesù. Da secoli ci si domanda come si è formata l’immagine che non è dipinta, non ha pigmenti: un’immagine che nessuno sarebbe in grado di ricavare da un corpo. I documentari che mi hanno folgorato dimostravano che la Sindone è un negativo tridimensionale, è stata la luce a imprimere la tela. Cristo è luce, spiega per ben quattro volte in poche righe il primo magnifico segmento del Vangelo di San Giovanni, che, giustamente, era letto alla fine della santa Messa Tradizionale. In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini e la luce brilla nella tenebre e le tenebre non l’hanno soffocata. Non era Giovanni Battista la luce, ma il testimone della luce. Era luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Cristo è luce, e la luce ha impresso la Sindone.
Via Sindonis La Passione di Cristo documentata dal Sacro Lino è il libro di Emanuela Marinelli e Domenico Repice edito dalla Ares che racchiude tutte le conclusioni. La Sindone custodisce in modo impressionante tutti i segni della Passione. Sul lino è assente qualsiasi segno di decomposizione: il contatto del corpo con il telo c’è stato solo per un breve periodo.
Gli Autori hanno compiuto una ricerca estremamente accurata prendendo in esame i risultati di almeno trenta discipline che spaziano dall’anatomia al diritto romano, dalla spettroscopia agli usi ebraici di sepoltura. La vastità ed il livello di conoscenze richieste per indagare sulla Sindone fanno sì che l’argomento debba essere necessariamente affrontato da più esperti nelle singole discipline. Emanuela Marinelli e Domenico Repice presentano i risultati di questi studi inseriti in un’esposizione completa e dettagliata che permette il raffronto dell’immagine dell’Uomo della Sindone con ciò che è scritto nei Vangeli e con quanto narrato dai cronisti dell’epoca. Un’attenta analisi dalle origini documentate della reliquia fino alle analisi più sofisticate ottenute grazie alle moderne tecnologie in base alle quali viene smentita l’origine medievale del Sacro Lino, datazione che era stata ipotizzata in seguito ai risultati ottenuti con il metodo del radiocabonio. Gli studi rivelano che il telo ha avvolto un uomo sottoposto alla crocifissione senza tuttavia riuscire a spiegare il meccanismo che ha permesso di imprimerne sulla stoffa l’immagine fotografica. Gli esperimenti effettuati presso L’Enea, dove un tessuto di lino è stato sottoposto a radiazione ultravioletta ad alta intensità per mezzo di un laser a eccimeri, hanno dato risultati molto simili all’immagine della Sindone a conferma che a determinarla possa essere stata una radiazione ultravioletta direzionata.
I risultati degli esami medico legali condotti sull’Uomo della Sindone concordano con quanto raccontato nei Vangeli e corrispondono alle testimonianze dell’epoca sulla flagellazione, crocifissione e morte di Cristo. Gli Autori forniscono inoltre alcuni elementi di particolare interesse che non rappresentavano pratiche abituali presso i Romani, ma trovano riscontro nei Vangeli: un’ulteriore prova che il Sacro Lino abbia avvolto il corpo di Gesù.
Emanuela Marinelli e Domenico Repice ci rammentano che l’immagine della Sindone parla a tutti noi di una morte causata dalla crocifissione. Il supplizio patito dall’Uomo della Sindone e la sua morte coincidono con quelli di Cristo.
La seconda parte del libro è dedicata ad una Via Crucis Sindonica che ripercorre le quindici stazioni della Passione alla luce di quanto testimoniato dal Sacro Lino.
Dio ha creato la vita e Cristo è risorto, è risorto nella Luce e la luce ha impresso il telo, dandoci la prova certa. E torniamo alla Peste e al concetto di dolore innocente, e di come la Sindone, con la sua atroce documentazione del dolore innocente, ci dia la risposta. La Sindone non ci parla solo di dolore, ci parla di Resurrezione. Il dolore è penetrato nel mondo a causa del peccato e il peccato è penetrato nel mondo perché noi siamo stati creati liberi. Il dolore innocente deve essere guardato sapendo che esiste l’eternità, che gli innocenti che hanno sofferto sono destinati alla luce, che l’oscurità per quando ci sembri infinita, è sempre parziale e temporanea. Come è scritto sul Vangelo di San Giovanni grazie a Cristo siamo figli del Re, eredi del regno. Filippo Bataloni si è ammalato di leucemia a due anni, è morto a nove, dopo tre trapianti di midollo. Nulla prepara alla morte di un figlio. Nulla può consolare dalla morte di un figlio. Il suo papà e la sua mamma hanno scritto un libro bellissimo, Con la maglietta a rovescio dove hanno raccontato la storia del loro bambino, il bambino rinchiuso nel reparto di oncologia. Nel momento in cui la sua mamma ha sentito il suo corpo gonfio di acqua e cortisone staccarsi dalla vita, ha saputo che il suo bambino era nella luce, una luce infinita su prati sterminati dove il dolore non esiste. Siamo nati per l’eternità. Nulla prepara alla morte di un figlio, nulla può consolare dalla morte di un figlio, salvo la certezza che sia nella luce e questa certezza è data dalla Resurrezione. La mamma e il papà di Filippo hanno fondato un’associazione, Piovono miracoli, che raccoglie i genitori dei bambini che hanno terminato la loro vita nei reparti di oncologia. Il miracolo è la Luce che ha accolto i loro figli.
Esulti il coro degli angeli,
esulti l’assemblea celeste:
un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto.
Gioisca la terra inondata da così grande splendore:
la luce del Re eterno
ha vinto le tenebre del mondo.
Buona Pasqua a tutti.