PAPA E ANTIPAPA – BENEDETTO XVI NON ABDICO’ CON LA “DECLARATIO” DEL 2013, MA ANNUNCIO’ LA SEDE IMPEDITA –
Ieri abbiamo illustrato come la Declaratio di papa Benedetto XVI, dell’11 febbraio 2013, interpretata come rinuncia, sia completamente nulla.
Proprio utilizzando le affermazioni dei canonisti Mons. Sciacca e Prof.ssa Boni, “legittimisti” di Bergoglio, i giuristi Estefania Acosta e Antonio Sànchez hanno dimostrato che:
- non esistono due papi, né il “papato allargato”; 2) il papa è uno solo; 3) il papa emerito non esiste; 4) munus e ministerium non sono sinonimi in senso giuridico; 5) Papa Ratzinger ha citato il munus in senso giuridico, senza avervi mai rinunciato come impone il diritto canonico; 6) Benedetto ha separato i due enti che, pure, sono indivisibili nel caso del Papa; 7) ha rinunciato pure all’ente sbagliato, cioè il ministerium; 8) ha differito una rinuncia che doveva essere simultanea e non l’ha neanche ratificata.
Nessuna smentita. Allora se la Declaratio non era una rinuncia al papato, cos’era?
La svolta è avvenuta il 20 agosto quando lo scrivente ha pubblicato un assoluto cambiamento di paradigma. Ciò che tutti noi siamo stati abituati, DA OTTO ANNI, a percepire come un atto giuridico di rinuncia al papato, era in realtà un annuncio, NON GIURIDICO, di un situazione di impedimento a governare, simile a quella individuata dal canone 412 come SEDE IMPEDITA, quando “il Vescovo è totalmente impedito di esercitare l’ufficio pastorale nella diocesi a motivo di prigionia, confino, esilio o inabilità, non essendo in grado di comunicare nemmeno per lettera con i suoi diocesani”.
La Declaratio, quindi non era una rinuncia invalida, ma la validissima dichiarazione del Papa di voler rinunciare solamente all’esercizio pratico del potere, ritirandosi in una vita contemplativa, senza abdicare assolutamente. Quando Benedetto parla di dimissioni, intende solamente dimissioni dall’esercizio pratico, non dall’essere papa. Lo ha scritto esplicitamente in “Ultime conversazioni”, quando dice che “nessun papa si è dimesso negli ultimi mille anni e anche nel I millennio è stata un’eccezione”. Dato che hanno abdicato sei papi nel I millennio e quattro nel II, lui si riferisce alle dimissioni dell’esercizio pratico del potere, così come fu nel raro caso del papa medievale Benedetto VIII che fu scacciato da un antipapa. Egli quindi rinunciò al ministerium, ma rimase papa, tanto da essere poi reintegrato sul trono dall’imperatore Enrico II. Prova ulteriore sia che nel suo libro intervista “Ein Leben”, si parla di dimissioni (Rucketritt) solo per lui, mentre di abdicazione, (Abdankung) solo per i papi che abdicarono davvero, come Celestino V, con il quale, lo stesso Ratzinger scrive di non avere nulla a che spartire.
Praticamente, oggi non abbiamo due papi: ne abbiamo mezzo: solo uno, divenuto eremita (e non emerito). L’altro è un antipapa.
Come mai Benedetto è dovuto giungere a questa dichiarazione di impedimento? Perché nessuno più gli obbediva: da anni perdurava un ammutinamento generale testimoniato da moltissime persone, ma anche da episodi comparsi sulla stampa. Lui stesso confidò a Mons. Fellay: “La mia autorità finisce a quella soglia”. Basti poi ricordare lo scandalo Vatileaks, da cui emerse come la sua posta privata veniva trafugata e divulgata, o al licenziamento in tronco del presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi o al fatto che già nel 2005, la sua “inabilità” giurisdizionale gli impedì di introdurre un piccolo cambiamento filologico nel canone della messa, il famoso “pro multis”. Ma sul contesto che ha condotto Benedetto XVI a questo difficile passo, probabilmente preparato da decenni, dedicheremo uno spazio apposito.
Torniamo, piuttosto, alla lettura corretta della Declaratio. Così come il Vaticano, nelle traduzioni in italiano e altre lingue dall’originale latino, aveva già abusivamente abolito la dicotomia giuridica fra munus e ministerium, asfaltando tutto con la parola “ministero”, così ha deciso di tradurre illecitamente il verbo “vacet” come “sede vacante”. Come noto, tale espressione ha una valenza giuridica e identifica la sede di San Pietro priva del papa, perché morto o abdicatario, quindi, pronta per un nuovo conclave.
Ma, come abbiamo specificato ieri, la rinuncia al ministerium NON RENDE LA SEDE VACANTE, quindi quel verbo non si può tradurre con questa espressione, per un motivo di coerenza giuridica.
Infatti, il latinista prof. Gianluca Arca spiega che, in senso letterale, vacet si deve tradurre con “la sede resti libera, vuota, sgombra”. Confermano due latinisti (“neutrali”) de La Sapienza, i prof. Ursini e Piras, tanto che Cicerone scrive: “Ego filosophiae semper vaco” – “ho sempre tempo libero per la filosofia”.
Così, a fronte di questa nuova e appropriata traduzione, restano tre concetti chiave della Declaratio di Benedetto (che riporteremo in fondo per intero):
1) Dato che non ho più le forze per esercitare il potere pratico (ministerium) dichiaro di rinunciarvi,
2) così che la sede di San Pietro resti LIBERA (non “vacante” in senso giuridico) a partire dalle ore 20,00 del 28 febbraio.
3) E dichiaro che il prossimo nuovo Pontefice dovrà essere eletto da un conclave convocato “da coloro a cui compete”.
E infatti abbiamo che il 28 febbraio 2013, quando doveva entrare in vigore la sua rinuncia al ministerium, Benedetto XVI prese teatralmente l’elicottero, lasciò FISICAMENTE LIBERA, VUOTA, la sede di San Pietro per Castel Gandolfo. Da lì, salutò il mondo alle 17.30, ma allo scoccare delle ore 20.00, non firmò alcuna rinuncia al ministerium, come spiega il teologo Pace: sarebbe stato, infatti, un atto giuridico invalido. La sua rinuncia al ministerium è puramente fattuale, causa impedimento a governare.
Da quel momento, sarebbe partita la Sede impedita e i nemici di Ratzinger avrebbero potuto fare ciò che volevano della sede di S. Pietro.
«Si spiega così – concordano i professori Arca e Sànchez – quella strana frase “il conclave dovrà essere convocato da coloro a cui compete”. Perché Ratzinger non ha detto semplicemente “dai cardinali”? Consapevole del fatto che la Sede di San Pietro sarebbe stata usurpata, papa Benedetto specificava che, in ogni caso, il prossimo vero papa dovrà essere eletto solo dai veri cardinali, cioè quelli nominati da veri papi, lui e Giovanni Paolo II, e non da eventuali usurpatori. Abbiamo sottoposto questa realtà alla Prof.ssa Geraldina Boni, chiedendole un commento, ma non ha risposto.
E’ pazzesco, vero?
Ma se si vuole sciogliere un mistero bisogna essere disponibili a cambiare radicalmente il punto di osservazione.
A proposito, infatti, chiediamoci: MA CHI LO HA DECISO CHE LA DECLARATIO ERA UNA RINUNCIA AL PAPATO? Il documento si chiama semplicemente “Declaratio” QUI https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2013/february/documents/hf_ben-xvi_spe_20130211_declaratio.html e non “Renuntiatio” come richiesto, fra l’altro, dalla costituzione apostolica Universi dominici gregis dove il conclave può essere convocato “post Pontifici obitum vel validam RENUNTIATIONEM” – dopo la morte del pontefice o valida rinuncia”.
Soprattutto, è lo stesso Benedetto XVI che, dopo aver letto la Declaratio in latino fa spiegare ai frastornati cardinali il senso del suo intervento al decano dei cardinali, S.E. Angelo Sodano, che, come vedrete QUI legge “a caldo” un foglietto preparato in anticipo QUI https://www.youtube.com/watch?v=NrajaSH-ZTI
Sodano non parla né di rinuncia, né di fine del pontificato, ma di fine del SERVIZIO pontificale. Sottolinea più volte che Benedetto rimarrà papa fino al 28 febbraio e specifica, alla fine, peraltro: “La Sua missione, Santo Padre, continuerà: Ella ha detto che ci sarà sempre vicino con la sua testimonianza e con la sua preghiera. Certo, le stelle nel cielo continuano sempre a brillare e così brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato”. Lo stesso Benedetto dirà poi: “Il «sempre» è anche un «per sempre» – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo” e ancora: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro” QUI https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2013/documents/hf_ben-xvi_aud_20130227.html
I cardinali hanno avuto 17 giorni di tempo per chiedere chiarimenti, delucidazioni, per controllare il Codice di Diritto canonico. Nessuno ha parlato, se non – parrebbe da indiscrezioni – il card. Burke, ma non è stato ascoltato. Possiamo immaginare una sede più impedita di così?
Quindi, dobbiamo entrare finalmente e decisamente nell’ottica secondo cui “ALTRI” hanno deciso che la Declaratio doveva essere una abdicazione, mentre Sua Santità Benedetto XVI aveva dichiarato tutt’altro.
Certo, lui ha lasciato fare a chi voleva interpretare la Declaratio come un’abdicazione, NON HA PROTESTATO ed è stato al gioco di chi lo impediva nel governare e voleva toglierlo di mezzo. Scopriremo domani come e soprattutto PERCHE’.
Andrea Cionci