In principio era il Verbo. Il primo verso del Vangelo di San Giovanni ci ricorda che Cristo esisteva dall’inizio dei tempi. Quando ero bambina il primo magnifico pezzo del Vangelo di San Giovanni veniva letto alla fine della Messa. Era un’ottima cosa: dopo aver riascoltato quegli splendidi versi a nessuno, fedeli, sacerdoti, vescovi, cardinali e papi, veniva in mente dire fesserie, tipo il fatto che tutte le religioni sono uguali e tutte portano a Dio. Co leggevano anche l’Invocazione a San Michele Arcangelo, e anche quello sarebbe stato carino non fosse tolta, magari il fumo di Satana se ne restava fuori.
In principio era il verbo, minuscolo, e anche la frase che usiamo per indicare la tragica importanza che ha sulla civiltà di un popolo il modificare il linguaggio. Il linguaggio è sempre appartenuto al popolo. La comunicazione di massa propria dell’ultimo secolo permette alle élite di modificare la struttura antropologica modificando linguaggio. Una volta che è nascosta dentro un linguaggio modificato e accettato come normale, la menzogna diventa impossibile da mettere a fuoco, meccanismo genialmente descritto nell’imperdibile libro 1984 di George Orwell con il termine neolingua. La costruzione della neolingua ha due pilastri: la distruzione di parole precedenti e la creazione di nuovi cacofonici orrori. Un punto fondamentale, lo spiega con chiarezza Orwell, è la diminuzione del numero delle parole usate. Scuola, spettacoli, media ed editori si stanno tutti impegnando in questa diminuzione. Conoscere un minor numero di parole permette un minor numero di pensieri. Se non c’è una parola per esprimerlo, un pensiero non è possibile: in greco la parola verbo indica sia pensiero che parola. Ogni volta che impariamo una parola nuova si formano sinapsi nel nostro cervello. Se ne impariamo poche, se usiamo sempre le stesse, si formano meno sinapsi nel nostro cervello, quindi siamo più scemi. Molto importante è anche non insegnare l’uso dei sinonimi. La capacità di scegliere il sinonimo perfetto per ogni occasione sviluppa lucidità e precisione, che rischiano di tirarci fuori dalla scempiaggine in cui le élite ci preferiscono immersi.
Nella neolingua pandemica brilla la parola resilienza.
Nata dall’ingegneria, fonde il concetto di resistente ed elastico, e indica una capacità di adattarsi. Se ti accorgi che stai invecchiando, devi diventare resiliente, devi adattarti alla nuova condizione, e cercare di fare il meglio che puoi con quello che hai, una maggiore saggezza. Lascia perdere botulino e lifting, sii fiero /a dei tuoi anni, e sorridi. Anche quando sorridiamo le rughe si accentuano, la faccia migliora. Se la tua terra è invasa da nazisti ( armata rossa, scolopendre giganti da Marte, altro), non devi essere resiliente, non devi adattarti, devi cercare di mitra e andare a combattere, e se questo non è possibile cerca nemmeno di scappare, di nasconderti. Se la libertà del tuo paese è annientata, non devi essere resiliente ma devi scappare, combattere o cercare le vie legali ed elettorali per recuperarla.
Ha scritto san Tommaso Moro, Signore, dammi il coraggio per modificare le cose che posso modificare, libertà annientata, la capacità di accettare le cose che non posso modificare, invecchiamento, e la saggezza di distinguere tra le due.
Mentre in una spaventosa fetta del mondo i diritti più elementari sono stati calpestati, passati sotto uno schiacciasassi, la parola resilienza rimbalza e rotola tonda in morbida come un fiocco di panna montata. Mentre in Italia è cronicamente calpestato il diritto elementare di essere curati a casa propria e con le medicine giuste per una malattia che, se non curata immediatamente, diventa devastante, la parola resilienza sboccia nei prati fioriti che sono i discorsi di presidente della Repubblica e presidente del consiglio, rotola nella melassa, si ammanta di zucchero filato. La libertà annientata, un coprifuoco anticostituzionale e inutile, la scuola distrutta, la dannata tachipirina e vigile attesa, non devono essere quindi considerati come eventi da combattere con coraggio e conoscenza della legge oltre che della medicina, ma come un ineluttabile evento paragonabile cui adattarsi con un passo di danza. La resilienza ha anche un simbolo: una specie di ballo fatto da tizi e tizie che ancheggiano e sculettano al ritmo di Jerusalema, canzonetta che ti si pianta nel cranio e ci resta per ore. I danzanti hanno spesso l’ombelico o il sedere di fuori, ma hanno obbligatoriamente la mascherina sulla faccia.
Se con la parola resilienza, e annessa coreografia Jerusalema, ci hanno annientato le più elementari libertà di movimento, di lavoro, di scuola, ci hanno annientato il diritto elementare di avere un sistema immunitario forte rinchiudendoci agli arresti domiciliari, ci hanno tolto la Messa Pasquale e la messa di Natale di mezzanotte mentre i tabaccai erano aperti, ci hanno condannato al coprifuoco, con la parola empatia stanno annientando la più elementare libertà di pensiero.
Contro l’empatia. Una difesa della razionalità è il titolo del saggio di Paul Bloom dimostra che l’empatia è come il colesterolo, la mancanza è dannosa, ma l’eccesso pure. Annegato nel timore di poter offendere, rinneghiamo quello che è il principio più alto del genere umano, ma anche il principio più alto della carità, che è la verità. Perso il diritto alla verità, una civiltà è morta. Sono sconvolgenti le parole di Alessandro Cecchi Paone, che alla trasmissione radiofonica la Zanzara ha affermato che dire che l’unica famiglia è quella tra un uomo e una donna rappresenta un incitamento all’odio, perché crea infelicità negli esseri umani. Quindi per lui è perseguibile.
Affermare che era sbagliato uccidere gli ebrei creava infelicità ai nazisti, affermare che era sbagliato che i bambini lavorassero in miniera ha creato infelicità ai proprietari delle miniere che li impiegavano, affermare che è sbagliato massacrare il proprio stesso popolo ha sicuramente causato dolore a Pol Pot e consociati, ed essere perseguitato come raccomanda Cecchi Paone, campione di libertà e intelligenza, potrebbe causare infelicità nei perseguitati, che, prendiamo atto di questo dato di fatto, lui non considera esseri umani.
Quello che è sconvolgente è la disistima che è contenuta in queste parole, e in tutto il ddl Zan, per le persone cosiddette omosessuali o trans. Sono considerate individui emotivamente incapaci, con un cuoricino piccolo piccolo e può destabilizzarsi per sempre per una frase che possa offendere il delirio di onnipotenza di poter costruire una famiglia dove manchino i due presupposti fondamentali, un produttore di spermatozoi e una produttrice di ovoli necessari a creare un figlio. Posso assicurare l’onorevole Zan e Cecchi Paone che i cosiddette omosessuali e i cosiddetti trans sono persone come tutte le altre, hanno la forza e la potenza degli esseri umani, hanno avuto e hanno il coraggio di sfidare condanne a morte, e non hanno assolutamente bisogno della loro dubbia compassione che le ingabbi a vita nella condizione del minorato emotivo che deve essere difeso anche dalla verità perché altrimenti si destabilizza.