L’effetto placebo è gratis.
Arte medica e narrazione sono estremamente collegate: non è un caso che molti medici siano scrittori, per esempio il mio amico Paolo Gulisano, ma anche moltissimi altri. Noi conosciamo le persone più degli altri. Le persone fanno la strada per arrivare fino al nostro studio o ai nostri ospedali per raccontarci la loro storia. Quando noi raccogliamo l’anamnesi raccogliamo anche, in una qualche maniera, la vita del paziente e quindi conosciamo un grande numero di creature umane, ma, soprattutto, noi siamo più a contatto degli altri, per motivi professionali, con il dolore, con il lutto e con la morte. La narrazione, inoltre, è una parte della medicina: quando non ci sono altri mezzi a disposizione la narrazione è l’unica medicina possibile e questa era la base della cosiddetta “medicina sciamanica”, fatta di simbolismo e chiecchiere, che, però qualcosa concludeva, vale a dire è la base dell’effetto placebo. L’effetto placebo consiste nel fatto che, se io sono convinta che qualcosa mi stia curando, anche se questa cosa è acqua e zucchero, mi cura lo stesso per un meccanismo di autosuggestione che innesca la produzione di neurotrasmettitori che influenzano sia il sistema endocrino che quello immunitario. L’effetto placebo può essere determinante. Le industrie farmacologiche, quando studiano i farmaci, devono sempre cercare di capire quanto è effetto del farmaco e quanto è effetto del placebo, motivo per cui si fa la cosiddetta ricerca in doppio cieco: i pazienti sono divisi in due gruppi, a u gruppo viene somministrato il farmaco vero, a un altro il falso farmaco, Il doppio cieco ci dice che l’effetto placebo, da solo, può dare il quaranta o il cinquanta per cento dell’effetto che mi può dare un analgesico, ma addirittura il venti o il trenta per cento di un antibiotico; quindi un medico dev’essere sempre in grado di sfruttare l’effetto placebo. Se un paziente si sente accudito fabbrica endorfine, e guarisce prima. Un medico non può più ignorare il sistema PNEI. PNEI: psiconeuroendocrinoimmunologia è la nuova branca della medicina che spiega come i neurotrasmettitori abbiano effetto anche sul sistema endocrino e sul sistema immunitario, quindi il paziente che si sente accudito fabbrica endorfine, avrà un sistema immunitario piu potente e una minore percezione del dolore, un paziente che si sente trascurato o che è sotto stress, per esempio perché è stato abbandonato in una sala d’aspetto sudicia per delle ore, perché il medico è brusco, sempre in ritardo, perché deve avere delle notizie terribili e perché gli vengono date notizie anche più terribili di quanto si dovrebbe e di quanto si potrebbe, fabbricherà cortisolo. Il cortisolo abbatte il sistema immunitario. Io credo che tutti i medici debbano leggere obbligatoriamente i testi del professor Fabrizio Benedetti di Torino sull’effetto placebo e sull’effetto nocebo. Il dottor Benedetti fece i suoi studi sulla chirurgia toracica delle Molinette: la chirurgia toracica è una chirurgia estremamente dolorosa perché si passa dalle coste per poter operare sul polmone. Contrariamente al paziente ortopedico che ha il punto operato immobilizzato, il paziente toracico non può avere la parte dolente immobilizzata perché respirare. In questi pazienti non si possono dare troppi analgesici di tipo oppiaceo perché rischiano di deprimere il respiro e occorre prudenza con altri analgesici perché questo paziente è molto predisposto alla gastrite emorragica. Il professor Benedetti aveva dimostrato che, se un medico con addosso un camice pulito, è molto importante anche il linguaggio non verbale, si china sul paziente che lamenta dolore, impiega qualche minuto per domandare come è il dolore, se aumenta, dove è localizzato, e somministra un antidolorifico dopo aver dichiarato di essere certo che entro pochi minuti il dolore sarà debellato, l’antidolorifico funziona di più della stessa fiala somministrata da un medico distratto, con un camice sporco che bofonchia che, sì , va bene, dico all’infermiera di darle qualcosa. La frase non deve essere oggettiva, “Lei starà meglio”, potrebbe non essere vero, i pazienti detestano chi mente, ma deve essere soggettivo “Io sono sicuro che lei starà meglio” il soggetto sono io, io sono un’ottimista, nessuno può accusarmi di aver detto cose non vere, e il paziente sente il mio desiderio che lui stia meglio, sente che sono interessato a lui, si sente accudito, questo aiuta la produzione di endorfine. Quindi noi medici dobbiamo imparare a sfruttare sempre l’effetto placebo.
L’effetto placebo da solo è già curativo. La volta in cui ci troviamo nell’isola deserta senza nessun medicinale, già solo con l’effetto placebo noi possiamo fare del bene. Nel momento in cui ci chiniamo sull’incidente stradale col paziente con la gamba rotta e non abbiamo niente altro se non la nostra voce, dire al paziente: “Non si proccupi, andrà tutto bene, vedrà tra due mesi lei camminerà come prima, sta arrivando l ‘ambulanza, respiri lungo, vedrà che andrà tutto bene”, già abbiamo fatto produrre endorfine, abbiamo diminuito il cortisolo, abbiamo fatto un’opera medica. Quindi un medico che non usi la narrazione per aiutare i suoi pazienti sta facendo qualcosa di profondamente antiscientifico perchè non sta sfruttando l’effetto placebo, non sta utilizzando il sistema psiconeuroendocrinoimmunologia.
Quando la mamma si china a dare il bacetto dove il bimbo ha la bua, sta facendo un’operazione oggettivamente terapeutica. Il bimbo è convinto che il bacino della mamma abbia capacità terapeutiche, fabbrica endorfine, il dolore diminuisce, lui guarisce prima.
La letteratura ha preceduto la psicologia e la psicologia dev’essere comunque una branca della medicina al punto tale che i nomi di molte sindromi, dal complesso di Edipo alla sindrome di Munchausen vengono prese dalla letteratura. La letteratura ci insegna a entrare nella testa di un’altra persona. Se il medico riesce a entrare nella testa del paziente gli è più facile curarlo, per esempio molti pazienti vengono curati male perché gli sono stati somministrati medicinali giusti, ma loro poi non li hanno presi o non li hanno presi come avrebbero dovuto prenderli. La nostra responsabilità è anche questa: non siamo riusciti a convincere il paziente che la cura era quello giusta per lui purché lui la seguisse in una determinata maniera.
Molti centri oncologici mettono nelle sale d’aspetto dei televisori che trasmettono in continuazione comiche: le vecchie comiche di Charlot, Stanlio e Ollio, eccetera. Molti pazienti ridono moltissimo. Ridere produce endorfine, non solo, ma qual è il punto fondamentale del paziente oncologico? La perdita del ruolo: prima facevo quello, quello e quell’altro, adesso ho il cancro non valgo più niente. Nel momento in cui mi accorgo che qualcuno si è preso il disturbo per me di mettere due o tre piante verdi nella sala d’aspetto, di mettere qualche cartellone carino e un video che trasmette una cosa che mi fa ridere cinque minuti, mi accorgo che il mondo tiene a me. Qual è la cosa terribile che si può fare con qualsiasi paziente? Farlo aspettare a lungo in sale d’aspetto brutte, fargli perdere tempi e fatiche infiniti con burocrazie assurde; il messaggio non verbale che arriva è: “ Tu non vali niente, il tuo tempo vale zero, ti faccio aspettare tre ore su una sedia scomoda, in una sala d’aspetto squallida e magari hai anche saltato il pasto, ti faccio correre per gli uffici perché tanto di te a nessuno importa”.
Come sostiene l’oncologo Lucien Israël nel suo bellissimo libro Contro l’eutanasia, nessun paziente cui è stato fatto sentire che teniamo a lui chiede l’eutanasia.