Non lamentarsi mai.
Mai lamentarsi
Fai attenzione ai tuoi pensieri perché i tuoi pensieri diventano le tue parole.
Fai attenzione alle tue parole perché le tue parole diventano le tue azioni.
Fai attenzione alle tue azioni perché le tue azioni diventano le tue abitudini.
Fai attenzione alle tue abitudini perché le tue abitudini diventano il tuo carattere.
Fai attenzione al tuo carattere perché il tuo carattere diventa il tuo destino.
Lamentandoci, quello che comunichiamo al nostro inconscio è: “sono debole”.
Il nostro inconscio esegue i nostri ordini: più ci lamentiamo, più diventiamo fobici, più il nostro disturbo alimentare peggiora, più le nostre ossessioni diventano terribili.
Impariamo a non lamentarci mai.
Usiamo piuttosto la nostra energia per risolvere il problema, se è risolvibile, oppure per attenuarlo e riempire la nostra mente di altro, quando riscontriamo che una risoluzione non sia tra le opzioni possibili.
Non dobbiamo lamentarci mai, ma è lecito chiedere aiuto.
La richiesta di aiuto deve essere precisa, circostanziata, deve sempre essere ripagata con la gratitudine, certo, e – se possibile – anche con altro.
Se abbiamo una malattia grave, potenzialmente mortale, se abbiamo il cancro, decidiamo se vogliamo batterci o arrenderci.
Prendiamo la decisione da soli.
È una scelta nostra.
Se decidiamo di batterci, acquisiamo una mentalità militare.
Non è detto che saranno lacrime e sangue, ma, anche se dovessero essercene, e in quantità, non ci arrenderemo.
Lo stabiliamo prima. E quindi niente lamentele. I generali non si lamentano quando le trincee cedono. Lamentarsi non serve.
Poi stabiliamo chi è la nostra squadra: chi tra amici e conoscenti ha tempo libero per poterci accompagnare, quando sarà necessario non andare soli.
Gratifichiamo la nostra squadra con gratitudine, fiumi di gratificazioni, se possibile.
Niente lamentele con i membri della squadra.
Chi già sta rinunciando a una mattinata di affari suoi per accompagnarci, non deve essere tediato da nessun tipo di lamentela, incluso l’imbarazzo di dare disturbo, che va segnalato un’unica volta, e non ripetuto.
“Mi dispiace di darti disturbo, e sono così felice che tu mi stia accompagnando, grazie. Mi commuove che siate tutti con me. Sono sicuro che ce la farò. Guidi benissimo, è bella la tua macchina, carina la musica che ascolti, grazie di essere puntuale”.
Se la guida è da infarto, se si ascolta heavy metal e se nell’auto ci sono topi morti, se non potete fare complimenti, sull’auto, sulla guida, sulla puntualità, allora su questi argomenti tacete.
Per nessun motivo sono permesse critiche.
Dovete motivare la vostra squadra.
È un vostro compito.
Anche medici e infermieri sono un pezzo della squadra. Motiviamoli. Se fanno qualcosa di giusto, ringraziamoli e segnaliamolo ad un giornale.
La nostra attenzione è acqua e fertilizzante.
Diamo energia e potenza all’oggetto su cui la posiamo.
E poi, sul piano pratico, là dove posiamo la nostra attenzione, lì otteniamo i risultati.
Dunque, paghiamo l’ascolto, quando è stato necessario: grazie per avermi ascoltato, mi sento meglio.
Paghiamo l’aiuto: grazie che mi stai accompagnando, con il tuo aiuto, ce la farò.
Usciamo per sempre dal ruolo del debole, colui che riceve aiuto senza dare nulla in cambio.
La nostra forza aumenterà.
Aumenterà la forza degli altri.
Avremo moltiplicato, quindi, i pani e i pesci.
Le neuroscienze hanno dimostrato che ascoltare lamenti è un’operazione talmente dolorosa e penosa che, se prolungata per più di trenta minuti, può causare uno “spegnimento” delle cellule dell’ippocampo, che non è un cavalluccio marino, ma una parte del cervello.
Non lamentatevi mai, quando lo fate per più di 30 minuti ricordatevi che state causando un danno.
Se proprio non potete farne a meno, cercate di fermarvi al ventinovesimo minuto.
Non permettiamo a nessuno di lamentarsi con noi oltre il ventinovesimo minuto.
Tanto vale cambiare argomento al primo.
Faremo un piacere al nostro cervello e all’anima del lamentoso.