Per essere infrangibile impara il latino, impara a riconoscere le manipolazioni così potrai resistere e impara a cucinare.
Spezzatino di cinghiale. Il cinghiale è in assoluto il piatto più ecologico e l’ecologia non è né la scienza del buonismo né la scienza della compassione. L’ecologia è la scienza che studia l’equilibrio come la biologia è la scienza che studia la vita, che non può esistere senza ferocia, perché così è stato stabilito nell’equilibrio delle cose. Se tutti gli animali fossero vegetariani, la vita non potrebbe esistere. Che essere vegetariani sia più buono che essere carnivori, lasciamolo ai cartoni animati. Quindi la ferocia deve essere presente nell’equilibrio in quantità indispensabile, e indispensabilmente limitata, come il sale o come il peperoncino. I cinghiali sono stati reintrodotti nella regione, vivono liberi sulle nostre colline, non hanno predatori e quindi l’unica maniera di creare un equilibrio, che il loro numero eccessivo non diventi una devastazione per i nostri boschi e per i campi di patate e mais è la loro morte. Il loro numero viene tenuto basso, ogni sei mesi i comuni stabiliscono il numero di cinghiali che devono essere abbattuti e i cacciatori vanno ad abbatterli, e i nostri macellai lo vendono a spezzatino. Come monsieur de La Palisse che era un tizio che fino a quando non era morto era stato vivo, così almeno è stato scritto sulla sua lapide, il cinghiale prima della sua morte è stato vivo, è vissuto libero in mezzo all’odore della terra bagnata e delle foglie. Ha vissuto come voleva. Si è accoppiato come voleva, ha mangiato non certo quanto voleva, ma certo tutto quello su cui è riuscito a mettere le zanne e il grugno, ha dormito sotto le stelle, ha sentito il profumo del vento. Ha imprecato sotto gli acquazzoni o forse si è goduto il fango; non ho idea di cosa provi un cinghiale quando piove. I macellai lo vendono rinchiuso in sacchetti da due chili l’uno, all’interno di un congelatore, quindi la ricetta per lo spezzatino di cinghiale comincia con l’imperativo numero uno: procuratevi due chili di cinghiale congelato, poi vi servono rosmarino salvia lauro chiodi di garofano, tre, bacche di ginepro, e prosecco. In tutti i ricettari troverete che il cinghiale viene cucinato con il vino rosso. Io preferisco il prosecco. ( ne ho in casa di buonissimo, me l’ha regalato un’ amica) Questa è la ricetta: prendete lo spezzatino di cinghiale e mettetelo in una grossa zuppiera a marinare nel prosecco con tutti gli ingredienti già elencati, e il prosecco che è un vino regale che nasce da allineati vigneti sotto antiche torri. E quindi in questa ricetta si fondono i nostri boschi e i vigneti del Veneto. La marinata deve durare 24 ore, il tempo necessario alla carne del cinghiale di scongelarsi completamente e impregnarsi del vino, del sole estivo che ha brillato sugli acini, di quello più obliquo che ha illuminato la vendemmia. Al momento di cucinare è importante fare come Dio comanda il soffritto: il soffritto si fa con la cipolla e il rosmarino, usando sia olio di oliva che burro. Questa è una buona regola, ovunque ci voglia la cipolla aggiungete anche il rosmarino. Poi mettete il cinghiale e tutta la sua marinata tanto si riassorbe, aggiungete una manciata di sale grosso, grezzo, quello grigio, quello che arriva dalle nostre saline. È una cucina lenta dovete restare in cucina e fare attenzione, la cucina che usa creature che sono state vive non permette errori, non potete dimenticarvi il tegame sul fuoco, farlo bruciare, non vi potete sbagliare, la cucina crudele è un rito religioso, fatta per gente che sa che dalla vita nasce la morte e dalla morte la vita e non possono mai essere disgiunte. La vera cucina mischia l’amore e la morte, è fatta di burro, sangue e ossa spezzate. Nella vostra casa si spanderà il profumo dello spezzatino di cinghiale è un profumo dentro cui c’è la sua vita, il suo correre nel bosco, c’è il giorno in cui si è accoppiato il giorno in cui i suoi cuccioli sono nati, il giorno in cui ha incontrato i cacciatori, uno sparo si è sentito tra gli alberi, al suo odore si è mischiato quello degli stivali di gomma e dei cani, il suo sangue si è mischiato con le foglie.
Chi è vivo, veramente vivo, in ogni istante in cui respira, sa che il suo destino è la morte, e lo ha messo già in conto. Nel profumo del cinghiale c’è la sua vita, la sua morte, c’è il bosco, ci sono i vigneti, c’è l’essere vivi e l’essere morti. Noi abbiamo bisogno di carne per vivere ma deve appartenere imperativamente a creature che sono riuscite a essere felici nella loro esistenza. Mangiare la carne di qualcuno che ha corso e che ha pensato è un gesto sacro, che non si può fare impunemente, non si può fare guardando la televisione, non si può fare in maniera sbadata, distratta, non si può fare contando le calorie. Nella cucina la morte e il piacere si fondono e questi sono gli stessi ingredienti dell’esistere. La vera cucina è crudele e sensuale. C’era un’antica storia che narra che quando Dio decise di creare il mondo radunò le creature che si erano formate nella sua mente “Vi concederò la vita” disse loro “ma di essa faranno parte anche il dolore e la morte, la vostra morte e il vostro dolore, ma anche il dolore e la morte di coloro che saranno necessari per la vostra vita”. L’unicorno e il cavallo alato non se la sentirono, e Dio allora non li creò. Quindi lo spezzatino di cinghiale va mangiato su una tavola apparecchiata con una tovaglia che può anche non essere imperativamente bianca, ma deve essere bella. Noce moscata e chiodi di garofano. Un attimo prima di portare il cinghiale in tavola dovete aggiungere una punta di cucchiaino di cacao amaro sciolto in qualche goccia di rum, per togliere del tutto il selvatico, così il profumo che riempirà non solo la vostra cucina ma la vostra casa conterrà molte cose oltre la vita del cinghiale e la sua morte le sue corse sotto la luna, i suoi amori, tutte le patate e il mais che ha rubato, la felicità o il disappunto che provava sotto la pioggia, il suo sangue che ha bagnato le foglie, dopo la sua ultima corsa inseguito dal latrare dei cani. Perché il punto è questo: i cinghiali possono vivere perché è permesso ucciderli, sono stati reintrodotti perché ci possa essere un equilibrio, se così non fosse il mondo sarebbe intristito dalla loro assenza così come sarebbe intristito dall’assenza delle pecore se nessuno le mangiasse, dall’assenza delle vacche, dall’assenza di oche e galline e di quell’animale straordinario che è il maiale. Insieme all’odore del maiale nella vostra cucina ci sarà il sole che ha brillato sui vigneti, ci sarà il sogno, nemmeno il sogno, solo il profumo, perché di cacao amaro ce ne va veramente una punta, di un luogo dall’altra parte dell’oceano chiamato Brasile, e i Caraibi da cui viene il Rum, che si fonderà insieme ad altri luoghi, l’estremo oriente da cui vengono il chiodo di garofano, il pepe, la noce moscata. Coloro che vivono mangiando carne sono quelli che hanno accettato la propria umanità, ma devono coniugarla anche con la spiritualità. Quando noi mangiamo qualcosa che è stato vivo, ci impegniamo a essere vivi, ci impegniamo a essere vivi in ogni istante della nostra vita, ci assumiamo la responsabilità che ogni istante della nostra vita abbia un senso, che non sia semplicemente un lasciarsi scorre la vita addosso, ci impegniamo a non dare nulla per scontato, a sentire la felicità di essere vivi, del corre sotto la luna, di restare sotto i temporali, ci ricordiamo che siamo vivi e che la vita è fusa col dolore e con la morte e non può mai essere distinta. Quando amiamo qualcuno sarà anche dolore, quando mettiamo al mondo un figlio sappiamo che lo stiamo condannando a morte, e il giorno della nostra morte dovremo ricordarci di guardarla negli occhi allegramente, è la sola maniera per non avere debiti con i cinghiali.
Imperativa è l’apparecchiatura, non possono esserci bicchieri di carta, se non avete i calici di cristallo non importa, un bicchiere di onesto vetro andrà benissimo, ma deve essere trasparente e decente, niente disegnini, state mangiando una creatura che è stata viva. La cucina, ricordatevene, è un luogo sacro, in passato conteneva un camino, conteneva il fuoco, e nella cenere c’era il ricordo dei morti, ma anche adesso che cucinerete con il gas o l’elettricità, la sacralità della cucina resta intatta.