Guareschi aveva capito.
Il trasferimento da Trieste a Parma fu un trauma.
A Parma non c’era il mare. Non avevo più la mia maestra: le altre avrebbero fatto la quinta senza di me, mentre io ero da un’altra parte con altre tizie e un’altra maestra: degnissime persone, certo, ma non mi interessavano.
Cominciai ad amare ferocemente Parma a Natale. Faceva un freddo maledetto, raggiungemmo i meno venti. Al mattino ci svegliavamo con i ghirigori alle finestre. Molto romantico, certo, ma tirarsi giù dal letto era una pena.
A Natale mi regalarono Don Camillo. Non ero in grado di cogliere tutte le sfumature, certo, ma l’umorismo si. Profondamente cattolico, profondamente convinto come ogni persona di elementare buon senso nella profonda bontà di un mondo piccolo basato sulla famiglia, sulla terra, le vacche, l’alternanza delle stagioni, Guareschi è stato uno scrittore straordinario Il primo libro è del 48. Il primo film è del 52. Il regista era francese in quanto tutti i registi italiani rifiutarono. I film di Don Camillo ebbero un regista francese perché di registi italiani disposti a filmare una così plateale difesa degli odiati valori della tradizione, una beffa così aperta a chi considerava Stalin un paladino dell’umanità, non se ne trovò nemmeno uno. Fortunatamente francese anche l’attore principale : Fernandel , perché è stato assolutamente perfetto. Mio padre era stato vicedirettore del carcere di Parma durante la detenzione di Guareschi, una decina di anni prima della mia nascita, e me ne aveva parlato come di una mascalzonata. Guareschi mi permise di innamorarmi di Parma, del fiume, della nebbia, del caldo insopportabile, del freddo porco, della facciata del duomo, della sagoma del battistero che uscivano dalla nebbia a novembre, splendevano di luce a maggio sotto nuvole di rondini. Don Camillo che parlava col Cristo crocefisso è uno dei personaggi più struggenti della cinematografia mondiale.
Guareschi descrive un mondo fatto di uomini, donne, sole infuocato e freddo porco, zanzare, filari e vacche. Era un mondo fatto di fatica (tanta) ,sudore, dolore (tanto) e gioie, poche ma totali. La guerra, il campo, il mitra, il bambino, e, su tutto, il suono delle campane che aleggia sulle acque del l’inondazione come lo Spirito di Dio ha aleggiato su quelle della Genesi. Un mondo condannato a morte che morirà ucciso dalla televisione e dai centri commerciali, con l’ultimo colpo di grazia dato dalla UE con le quote latte che ha ucciso le vacche e il mondo cui appartenevano. Poi sono arrivati il folle consumo di cannabis e simili, la crisi economica, la sicurezza sempre più impalpabile. Raggrumati su una natalità miserabile, ci avviamo a un’estinzione miserabile.
Per chi vuole capire come è successo, come è potuto succedere, ci sono due libri che lo raccontano. Entrambi parlano di Guareschi: e Guareschi aveva capito.
Quel cristiano di Guareschi, di Paolo Gulisano ( ed Ancora) e Lettere ai posteri di Giovannino Guareschi, di Alessandro Gnocchi, (ed Marsilio) sono due testi che ho letto con una stretta al cuore. Il libro di Paolo Gulisano è pieno di tenerezza, tenerezza verso la storia e verso la geografia, tenerezza verso Giovanni Guareschi e il suo ostinato elogio della bontà. Don Camillo nasce nel Natale del 46, per l’urgenza di chiudere una rivista. Una nascita straordinaria che Gulisano accosta a un’altra nascita straordinaria: il racconto di Natale di Dickens, scritto nell’inverno del 1843 per l’urgenza di inviare qualcosa all’editore, un racconto pieno di dolore e di dolcezza. Il parallelo tra i due autori, tra le due narrazioni è geniale, uno di quei accostamenti che Paolo Gulisano riesce a fare grazie alla sua conoscenza infinita della letteratura, e ha ragione. Sono due racconti talmente pieni di tenerezza che ne hanno inondato il mondo. Gulisano ricorda un piccolo dialogo tra Peppone e Guareschi, dialogo che non avevo capito, non avevo memorizzato, non gli avevo dato importanza. Peppone afferma di detestare i preti clericali. Don Camilla obbietta che preti clericalie una sciocchezza, e Peppone risponde che non lo è: Don Camillo per esempio è un prete non clericale. Il piccolo dialogo è la chiave di volta per capire la crisi attuale.
Nel libro di Gnocchi ho ritrovato il nostro restare allibiti. I preti clericali: sono coloro che pensano che la Chiesa sia roba loro, coloro che sono convinti che della Chiesa possono farne quello che vogliono. I preti clericali hanno dimenticato, sempre che si sia trattato di una dimenticanza, atto involontario, e non di un mostruoso atto volontario, che la Chiesa appartiene a Cristo e che gli uomini, il popolo e il clero, partecipano grazie a Lui. Il clero e il popolo: è il popolo che ha costruito le chiese: “Mangeremo pane e castagne, noi e i nostri figli, ma la chiesa ha da essere bella. E’ il popolo che ha scolpito le balaustre di marmo o quelle umili di legno, cercando di farle più belle che poteva, quelle balaustre che i preti clericali dopo aver pensato che l’Eucarestia si prende in piedi perché inginocchiarsi fa poco democratico, hanno svenduto a tutti i palazzinari degli anni sessanta: non c’era villetta di neo ricco che non avesse la balaustra di marmo a delimitare il bar. Erano i nostri altari quelli che sono stati sventrati, erano gli inginocchiatoi su cui le nostre nonne hanno detto il rosario per i mariti dispersi in guerra che sono stai dati via. Noi, il popolo, abbiamo tessuto l’oro e l’argento con cui sono intessuti i paramenti sacri profanati in una insensata mostra a New York, accompagnata da una sfilata di moda oscena e blasfema. I preti clericali hanno sperperato il patrimonio della chiesa e del suo popolo per far costruire ad architetti atei le ripugnanti chiese postconciliari, che fortunatamente sono in cemento: crolleranno. I preti clericali quando svendono il patrimonio del popolo cattolico squittiscono che lo stanno facendo per i poveri. Anche Giuda il buono, precursore dei filantropi e anticipatore degli indignati, voleva vendere l’olio profumato omaggio a Cristo per soccorrere i poveri. Nell’ amore di Dio i poveri saranno soccorsi, nella perdita dell’amore di Dio tutto e non solo i poveri sarà perduto.
Alessandro Gnocchi descrive molto bene l’orrore di Guareschi davanti a un ribaltamento di tutto. La perdita del sacro fu totale. Gli oggetti che il popolo aveva costruito, che aveva amato furono svenduti, furono disprezzati, fiumi di denaro furono sperperati per degli orrendi altari dove si celebrava un pranzo invece che un Sacrificio. Fu una violenza mai vista. Con conseguenze che investono ogni cosa.
Culto e cultura hanno la stessa radice, quando si cambia un culto, tutta una civiltà si modifica. Non è possibile cambiare la liturgia senza cambiare il culto, non è possibile cambiare un culto senza modificare tutta una civiltà.
Se vogliamo capire come è successo che una civiltà quasi bimillenaria sia crollata in due generazioni leggiamo Gulisano e Gnocchi che ci raccontano di Guareschi. Guareschi aveva capito.
Facciamo di nuovo suonare le nostre campane. È l’unica cosa che può salvarci.